Il Giardino degli amanti tra bizzarrie e allusioni

Alla Scala di Milano l'allusivo balletto ideazione del coreografo Massimiliano Volpini

[rating=2] Inedita produzione scaligera nel 225° della scomparsa di Wolfgang Amadeus Mozart, il balletto in prima assoluta mondiale “Il giardino degli amanti” debutta tra gli applausi di pubblico.

L’ideazione è del coreografo Massimiliano Volpini, cui il Teatro alla Scala ha commissionato questo inconsueto allestimento sulla scorta dell’esperienza positiva di “Cello Suites” del 2015, in cui la compagnia del Piermarini danzò sulle note di Bach e i passi di Spoerli.

Il parallelismo è sottile, ma esiste. In entrambi i casi la musica da camera è un pretesto per visualizzare e immaginare delle trame narrative. Certo, se le suite per violoncello solo di Bach sono esse stesse composte da forme di danza (allemande, sarabande, gighe, ecc…), i quartetti, i quintetti e un duo di Mozart selezionati da Volpini ne hanno solo qualche blando ed esiguo esempio nei minuetti.

I brani di Mozart, che impegnano in diverse combinazioni primo violino, secondo violino, viola, violoncello, flauto, oboe e clarinetto, sono riletti alla luce delle suggestioni evocative che ne possono scaturire, alla luce della produzione complessiva del genio mozartiano. Infatti, se le musiche vengono dal repertorio cameristico del salisburghese, la trama è invece ricavata dai personaggi di alcune delle sue opere più famose: Don Giovanni, Così fan tutte, Le nozze di Figaro, Il flauto magico.

Una commistione di generi molto sottile, che gioca tanto sulla leggera e fresca melodia della musica e sulle allusioni che può suggerire.

Il giardino degli amanti

Il soggetto è alquanto bizzarro e frammentato, di fatto vi è una cornice inframmezzata da episodi in divertente e dinamica carrellata. Un uomo ed una donna si inoltrano in un giardino a labirinto e qui si perdono e separano, incontrando di volta in volta i personaggi delle opere di Mozart che li intrattengono coinvolgendoli nei rispettivi intrighi e scherzi: solo dopo aver trascorso la notte tra le siepi del giardino, cadendo persino tra le mani di audaci rapitori, i due amanti si possono finalmente ritrovare in un bosco ai margini del labirinto, circondati dai personaggi mozartiani.

Reale e surreale si fondono e confondono, l’immaginazione ha il totale sopravvento su ogni pretesa di razionalità. Che sia tutto sogno?

Le scene, firmate da Erika Carretta, sono pulitissime e quasi sgombre, dominano colori pallidi e pochi elementi: le siepi, qualche sedia, altalene, piccoli manufatti, ecc… i costumi, sempre della Carretta, risentono maggiormente del gusto contemporaneo, di foggia provocatoria e scanzonata, riprendono le forme settecentesche rielaborandone le linee in maniera stilizzata e minimale, ricordandoci vagamente lo stesso gusto della Cinderella di qualche mese fa.

La trama, debolissima, è un fil rouge accomodato per giustificare la sequenza dei brani musicali, vero motore della suggestione coreografica. I passi di assolo, a due, a tre, a quattro e d’insieme nascono dalla spensieratezza galante e dall’armonia classica delle partiture così essenziali e celestiali di Mozart.

Lo stile dei ballerini cambia durante lo spettacolo: dalle forme più moderne e fisiche a movimenti sempre più aggraziati, in linea con l’epoca mozartiana. Un percorso di affinamento della forma, molto metaforico, che impiega del resto poca inventiva coreografica. I due personaggi principali si troveranno trasformati e trasfigurati durante il tragitto nel labirinto, esattamente come accadde ad alcuni personaggi celebri delle opere citate (pensiamo al percorso mistico di Pamino e Tamina, ma anche alle coppie del Così fan tutte, al Conte di Almaviva e a Figaro o alla fine tragica ed eroica del beffardo Don Giovanni).

L’intuizione che ha originato questo esperimento non ci convince del tutto, in verità. Sebbene lo spettacolo riscuota un discreto, ma non travolgente, successo di platea, la serata non lascia pienamente soddisfatti. La musica viene incastonata quasi perfettamente ad anello, stonando con il percorso della trama che non ci riporta affatto al punto di partenza, e la selezione dei brani non è sempre giustificata sulla scena, quasi a voler individuare dei motivi ricorrenti e caratterizzanti che però non possono esserci.

Le coreografie sono eseguite con il massimo della maestria possibile dal Corpo di ballo scaligero, diretto da Mauro Bigonzetti, non senza sbavature ed errori, soprattutto nelle figure d’insieme, inevitabilmente sottolineati dal contrasto tra l’azione dei corpi in movimento e i brani musicali, costruiti su un dialogo al più tra cinque strumenti, tra i più eleganti e sottili di un’orchestra.

I maestri in buca fanno il possibile. L’esecuzione della musica da camera di Mozart risente molto dell’adattamento a pastiche da ballo: i movimenti interrotti, i ritmi e le armonie spezzate, un’esecuzione che in generale non riesce a mantenere una coerenza interpretativa ed espressiva, si infrangono contro le aspettative suscitate. Rispetto a “Cello Suites”, in cui lo spartito bachiano era veramente il fine ultimo di ogni cosa, ne “Il giardino degli amanti” le partiture di Mozart vengono impiegate come in una colonna sonora qualsiasi, a piacimento delle esigenze di palcoscenico.

Lo stesso Volpini, del resto, ha pensato lo spettacolo attorno alla figura dell’étoile Roberto Bolle, suo ballerino di riferimento, assecondandone ed esaltandone le straordinarie qualità tecniche e le capacità espressive. Abbiamo potuto vedere danzare Bolle solo grazie alla diretta televisiva, e non ci è sembrato giustificare un giudizio sul balletto particolarmente diverso da quello che diamo alla recita cui abbiamo assistito, in sua assenza. Ballerino davvero eccezionale, mozzafiato e ottimo sotto ogni aspetto, fiore all’occhiello del Teatro alla Scala e del panorama internazionale, cui però non è plausibile affidare tutte le sorti di un intero spettacolo.

Molto bene i ballerini della rappresentazione del 19 aprile, Martina Arduino e Nicola Del Freo nei panni della coppia protagonista, e poi Paola Giovenzana, la Regina della Notte, Claudio Coviello e Matteo Gavazzi, rispettivamente Don Giovanni e Leporello, Massimo Garon, il Conte di Almaviva, Christelle Cennerelli, Rosina, Angelo Greco, Figaro, Lusymay Di Stefano, Susanna, e infine Massimo Dalla Mora e Marco Agostino, nei panni di Guglielmo e Ferrando, e Stefania Ballone e Agnese Di Clemente, in quelli di Fiordiligi e Dorabella.

In buca d’orchestra i violinisti Francesco Manara e Daniele Pascoletti, la viola di Simonide Braconi, il violoncello di Massimo Polidori, il flautista Andrea Manco, l’oboe di Fabien Thouand, il clarinettista Fabrizio Meloni.

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