The queen of silence di Agnieszka Zwiefka

[rating=4] Silenzio, balla Denisa! Che del silenzio è la regina. Il silenzio è il luogo in cui la isola la grave sordità da cui è affetta. Il silenzio è lo stato in cui sono ridotti i rom come lei, che vivono ai margini di una piccola cittadina polacca, disprezzati e vessati. Il silenzio è ciò che si crea quando lei danza: il mondo arresta la sua corsa abituale e scorre muto al ritmo dei suoi passi.

Quest’ultima sospensione è la cifra di molte sequenze di The queen of silence (2014) di Agnieszka Zwiefka, film di chiusura del 56° Festival dei Popoli, in sala al Cinema Odeon di Firenze

Unione di documentario di osservazione e musical bollywoodiano, il film di si distingue per originalità e sapienza tecnica. Per l’umanesimo attento con cui segue le vicende dei suoi protagonisti. Per l’uso del rallenti insonorizzato, con cui la regista riproduce la percezione che Denisa ha del mondo: felice, benché ovattata. Per le sequenze di danza con cui si anima il campo rom: spettacolari, corali e coinvolgenti. I giochi dei bambini si trasformano in video musicali in cui anche la camera danza.

The queen of silence di Agnieszka Zwiefka

La quotidianità è fatta di giochi, insulti e rovistamenti d’immondizia. L’eccezionalità è ben peggiore: l’insofferenza verso i rom è tale da produrre continue segnalazioni, retate e persino un incendio, pur se prontamente domato dagli uomini del campo. Persino la dottoressa che visita Denisa e le fornisce un apparecchio acustico, non esita a manifestare apertamente il proprio fastidio verso la famiglia di lei. Un giudizio che si antepone alla cura, che pure viene garantita. Vien quasi da chiedersi cosa sarebbe accaduto a telecamere spente.

La danza diviene il modo per sfuggire a questo dramma perenne; tanto che persino i poliziotti si trasformano in amichevoli ballerini e performers, inoffensivi come gli interpreti di The Full Monty (Peter Cattaneo, 1997) o di Scuola di Polizia (Police Academy, Hugh Wilson 1984). E, verso la conclusione del film, la danza converte l’intero quartiere in un corpo di ballo allegro e solidale. Niente più insulti o disprezzo, solo sorrisi e movimenti ritmati.

Denisa è al centro: stella del firmamento, regina del silenzio. La sua determinazione l’ha premiata: fin dall’inizio affermando di voler divenire una star di Bollywood, alla fine ci è riuscita. Il suo modello è l’attrice e ballerina indiana Ayshwarya Rai, che sempre imita. Ed eccola lì, sul grande schermo, che incanta il pubblico con la sua leggiadria, il suo sorriso enigmatico e lo sguardo intenso che emerge dai foulard volteggianti e colorati. Cacciata dal campo rom, con la promozione del film Denisa ha potuto coronare il suo sogno e rilasciare interviste e autografi ai fan, come una vera diva!

Insistente, tanto da rubare la scena al protagonista originale (un ragazzino del suo stesso campo) “guastando” ogni inquadratura con incursioni non richieste, Denisa ce l’ha fatta. La regina del silenzio ha vinto e ricorda ad ognuno di noi quanto sia importante crederci e non mollare mai. Ché l’entusiasmo e la tenacia pagano.

Una personalità “Sui Generis” (come dal titolo della sezione cui appartiene), ma certamente un modello da seguire. Inoltre, è significativa la dichiarazione della regista per cui:

“Quanto più la situazione nel campo rom diventa seria, tanto più magiche e spettacolari diventano le sequenze di danza. Perché la danza per i bambini rom è il modo di sfuggire ai problemi della vita quotidiana” (dal Catalogo del Festival, p.198).

Torna il valore salvifico della danza, il salvagente cui ricorrere nel momento del pericolo.

Così si chiude il cerchio e si conclude il 56° Festival dei Popoli. E, come per l’apertura, si assiste ad un passaggio di testimone: gli elementi bollywoodiani di questo film creano una continuità con il successivo River to River e confermano lo spirito di cooperazione che informa la 50 Giorni di Cinema. Un unico grande Festival per un unico grande pubblico. Ci vediamo al cinema!

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