La macchinazione del nulla

Il tentato film di David Grieco sulla morte di Pasolini

[rating=1] È uscito ieri La macchinazione, film di David Grieco sulla morte di Pier Paolo Pasolini. Non occorre soffermarsi sull’aspetto marketing di un film fatto in occasione della ricorrenza dei 40 anni dalla morte dell’autore e sull’utilizzo di Massimo Ranieri come protagonista.

Marketing che non promette nulla di buono vista la scarsa presenza di pubblico, il trailer già di per sé poco accattivante e le prime recensioni negative. Si sa, la morte di Pasolini è una trama dalle storie infinite. David Grieco però supera tutti in un certo senso, sì perché non propone nulla di nuovo. Nessuna verità tirata fuori dal cappello, anzi, inizia il film con Pasolini che ha un rapporto orale con Pino Pelosi, un’informazione evidentemente fondamentale.

Nonostante Grieco abbia rifiutato di collaborare alla sceneggiatura del Pasolini di Abel Ferrara, perché puntava l’attenzione meramente sull’aspetto sessuale, in realtà anche lui mostra  principalmente un omosessuale a caccia del ragazzino di borgata. Sì, perché è più facile identificare Pasolini come uno col vizio del sesso che in qualche modo se la va a cercare. Inoltre, le inquadrature del protagonista al volante dell’automobile o nel suo studio, la scena nella trattoria, dimostrano che Grieco la sceneggiatura di Ferrara non l’ha dimenticata.

A onor del vero, non si mostra soltanto la vita intima dell’autore ma, anche se con poca convinzione, il film butta lì le ricerche dello scrittore su Cefis, alludendo al mai ritrovato “Appunto 21” di Petrolio. Potrebbe essere quello infatti, il motivo per cui il sistema italiano corrotto, dove delinquenza, mafia, polizia e politica collaborano, elimina le persone scomode come Pasolini.

Al di là del debole riproponimento di questa ipotesi, Pino Pelosi, che ha partecipato all’omicidio del poeta, ne esce come una vittima inconsapevole, mentre Pasolini in più scene appare irascibile e violento. Il film mostra ora la persona ora il personaggio con scarsi risultati, senza parlare degli inserti di immagini in negativo o di una moderna folla di persone con il cellulare con alle spalle file di numeri che fanno un po’ Matrix. Insomma, un miscuglio difficile da mandare giù, che richiama più volte la fiction televisiva a discapito dell’aspetto documentaristico.

Il protagonista è interpretato da Massimo Ranieri, non me ne voglia il cantautore, ma un’artista non può mai eccellere in tutto e la recitazione non era convincente, il più delle volte sembrava che leggesse mancando di naturalezza. La madre Susanna poi, è intrepretata da Milena Vukotic, che non c’è niente da fare, nell’immaginario collettivo italiano è la moglie di Fantozzi, e anche questo non aiuta.

Grieco non rimette in discussione nulla sulla morte di Pasolini, non è credibile nemmeno nelle poche cose che mette in scena. Lo scrittore sembra un fantasma che parla appena con la madre e la cugina, più curata invece la parte dei “cattivi”, se calcava ancora la mano poteva essere un perfetto polizesco in stile Raoul Bova. Il film si conclude con la voce di Alberto Moravia durante l’orazione funebre, che ci sta sempre bene.

Non c’è niente da fare, Marco Tullio Giordana non si supera. Proporre una nuova versione sul delitto dell’autore non è certo facile, ma dopo tutte le inchieste e i dati emersi, cosa stiamo ancora cercando? Al posto di continuare a scrivere libri, fare film e parlare della morte di Pasolini, perché non interessarsi invece alla vita? Già, l’anno prossimo l’onda mediatica sarà concentrata sul caso impossibile di turno.

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