
[rating=4] E’ un vortice di linee e colori il percorso di mostra che, nello spazio dell’Ara Pacis, conduce lo spettatore all’incontro con Henri de Toulouse-Lautrec, il gigante del post-impressionismo francese, condannato da una malattia genetica – quasi in un infelice paradosso – ad una forma di nanismo.
Abbiente per nascita, creativo per dote naturale, l’arte di Toulouse-Lautrec è tutta intrisa della Belle Époque del primo ’900 ed esprime, sin da subito, il proprio interesse per il grafismo giapponese, per il disegno e la caricatura, mettendo al centro unicamente la figura e confinando il paesaggio, tanto amato dagli impressionisti, a mero accessorio utile a rendere comprensibile il carattere dei personaggi rappresentati, collocandone i movimenti nello spazio.
E’ forse proprio la malattia dell’artista a rendere il suo sguardo maggiormente interessato all’umano e particolarmente acuto nell’indagine psicologica delle figurine che ritrae, colte all’improvviso, mentre sono affacciate ai palchi di un teatro o mentre conversano al bancone di un locale.
Con ironia pungente, Toulouse-Lautrec, si mescola alla gente. Ama la folla dei bistrot parigini, le attese alle prime degli spettacoli, la solitudine lasciva delle case chiuse, i convivi casalinghi con amici e conoscenti. In ognuno dei suoi luoghi del cuore porta il taccuino e, con i suoi schizzi, immortala la società della sua epoca cantandone i vizi senza elargire giudizi morali, con naturalezza e, insieme, con disincanto.
Molte sono le locandine pubblicitarie presenti in mostra, perlopiù realizzate per i locali di Parigi, prima tra tutte la famosa serie dedicata al Moulin Rouge e al folleggiare di gonne e di gambe negli sfrenati can-can che hanno incantato centinaia di sguardi e acceso l’irriverente immaginazione di molti uomini.
Sigarette, bicchieri, cappelli e ombrellini, insieme a colori netti, senza chiaroscuri, contrapposti ai molti bianchi e neri, rendono le figure di Lautrec evocative come marionette di carta che si stagliano nel muto palcoscenico da cui emergono, così ad un tratto, come soldati di latta pronti a battaglie imperiture.
Spesso i volti sono caricaturali e la mano dell’artista curva oltre il limite la linea di un naso o allunga all’inverosimile un sopracciglio pensieroso. I vestiti sono sempre accennati e la moda dell’epoca è più suggerita che perfettamente ritratta. Gli sguardi sono spesso torvi e molti sono i personaggi corpulenti.
La donna la fa da padrona. E’ lei, nella lussuria o nella morbidezza delle forme, nel gesto aggraziato oppure nello sguardo altezzoso, ad intrigare, più di ogni altra cosa, la mente dell’artista. Di donne, tra litografie e schizzi, ne sfilano parecchie, siano esse attrici dei teatri del momento, prostitute, oppure modiste borghesi. Tra tutte, comunque, le più apprezzate restano le “vedettes” del locali più in voga come Jane Avril, una ballerina ritratta in più occasioni.
Osservando la collezione di opere raccolte nella splendida cornice dell’Ara Pacis, colpisce pensare alla cura riservata dall’artista, non solo nel tratto e nella scelta dei colori, ma anche allo studio del procedimento litografico. Scopriamo così che Lautrec, oltreché essere un abile disegnatore, era un attento litografo e collaborava con i propri stampatori, dando vita ad una stessa composizione in diversi colori e diversi tipi di carta, senza smettere mai di prestare attenzione all’unità dell’immagine e dei testi, laddove ve ne fosse la presenza.
Visitare questa rassegna è un’occasione imperdibile per conoscere un artista straordinario che ha battezzato l’arte pubblicitaria del secolo scorso e il nostro concetto di grafica.
Vedere dal vivo le sue opere, 170 delle quali provenienti dal Museo di Belle Arti di Budapest, è un viaggio emozionante nella sua arte, nella Francia del primo ’900 e nelle origini delle pubblicità moderne.