
[rating=3] Nel Saloncino delle Statue della Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti di Firenze si possono ammirare 40 lavori inediti della collezione Fusi, esposti per la prima volta nel mondo, del pittore fiorentino, di origini anglosassoni, Arnold Henry Savage Landor.
Un viaggiatore, un esploratore ottocentesco che documenta, nei suoi lavori, per lo più costituiti da piccole tavolette lignee che usava come merce di scambio per le sue provviste di cibo, la sua esperienza nel mondo. Un vero e proprio reportage di viaggio, tanti piccoli scatti pittorici che fissano persone, scorci di paesi, piazze, strade, ambienti naturali, usi e costumi di popoli lontani.
Nato a Firenze nel 1865, la capitale del Regno d’Italia, si formò alle varie arti, dalla musica, alla poesia, alla pittura, quest’ultima con il Maestro Stefano Ussi. Fin da adolescente cominciò a viaggiare per il pianeta, attraversando Europa, Asia, Africa, Americhe e Australia.
La sua curiosità la ritroviamo nelle tavole, da quelle che ci raccontano il Giappone a quelle che, seguendo la lezione del Maestro, portano l’osservatore a viaggiare con l’immaginazione attraverso il deserto egiziano del Maghreb. La cura del dettaglio è l’elemento fondante di ogni lavoro; Landor ci accompagna tra i villaggi del Sol Levante, rendendoci momenti di vita di quei popoli lontani dell’Okkaido, di Nikko, di Kyoto, come nelle Veduta dell’Okkaido, nella Veduta di Kyoto, oppure realizzando delle miniature nord africane, di quegli ambienti incontaminati colti al tramonto, in una luce giallo-arancio-rosso di grande intensità, sapientemente resa con piccoli tocchi di colore, come nell’opera Veduta di una città nord africana (1888).
Bellissimi i ritratti di donne e bambini dell’etnia Ainu, con i loro costumi tradizionali, tipici di quelle popolazioni indigene del Giappone settentrionale, quasi scomparse, così come le donne giapponesi con i loro kimono con obi, la fascia che lo chiude, che osservano la fioritura dei ciliegi a primavera.
Molti i lavori che portano in primo piano vicoli, villaggi del deserto, laghi e fiumi, paesaggi. In questi Landor mette in pratica la lezione di Ussi e del movimento toscano dei Macchiaioli, utilizzando colori tenui che dal grigio arrivano all’azzurro, poi al verde, poi al giallo ocra, agli arancio delle sere sudamericane e africane.Regna in essi una tranquillità e un’armonia totale, quasi eterea, che rapisce l’osservatore e lo conduce, per mano, in un viaggio a ritroso, nel passato, dove il tempo sembra ora fermarsi ora scorrere in perfetta simbiosi con i tempi della natura.
Un piccolo percorso con molti capolavori inediti che è stato possibile ammirare in prima assoluta qui a Firenze, la città natale dell’artista, nel 90° anniversario dalla morte.
Due gli aspetti negativi che si rilevano: l’esposizione delle tavole e dei disegni nelle teche che molto spesso riflettono la luce impedendo una visione ottimale dell’opera; la mancanza di un catalogo della mostra con una breve descrizione di ogni singola creazione che avrebbe potuto svelare qualche segreto e/o particolare che, così, rimane ignoto e sconosciuto ai visitatori.