Salvador Dalì a Roma, tra arte e mito

Fino al 27 luglio, oltre 80 opere del grande surrealista al Museo Storico della Fanteria

Salvador Dalí The Bacchus’chariot 1970 Arazzo 76,5 x 105 cm
Salvador Dalí The Bacchus’chariot 1970 Arazzo 76,5 x 105 cm

Comincia sui passi di Dante che si inoltra nella selva oscura, la visita alla mostra Salvador Dalì. Tra arte e mito, ospitata fino al 27 luglio al Museo Storico della Fanteria a Roma. Le prime tre stanze espositive sono infatti dedicate alle illustrazioni daliniane delle tre cantiche della Divina Commedia, commissionate dal governo italiano nel 1950 per un’edizione speciale dell’opera. Naturalmente, per l’immaginazione di Dalì il poema dantesco si rivelò una vera miniera di suggestioni oniriche, simboli e allegorie. Tuttavia, alcune vicissitudini politico-editoriali portarono a pubblicare in Italia i cento acquerelli solo nel 1963, dopo essere stati pubblicati prima in un’edizione francese.
Il connubio tra il genio di Dante e quello di Dalì ci accompagna nelle tre sezioni della mostra dedicate a Inferno, Purgatorio e Paradiso.

Chi ama gli aspetti tecnici di un’opera d’arte, apprezzerà anche quel “percorso nel percorso” che sono le prove di stampa. Di alcune tavole sono infatti proposte sei diverse fasi che, passaggio dopo passaggio, “pezzo” di immagine dopo pezzo, portano alla litografia finale.

Arazzo riproducente l'opera diSalvador Dalí Face of the Great Masturbator 1929 No121/500 P 167 cm Collezione privata © Salvador Dalí, Gala - Salvador Dalí Foundation, by SIAE
Arazzo riproducente l’opera di Salvador Dalí Face of the Great Masturbator 1929 No121/500 P 167 cm Collezione privata
© Salvador Dalí, Gala – Salvador Dalí Foundation, by SIAE

A riportarci sulla terra ci pensa poi la propensione di Dalì alla commistione tra arte, comunicazione e marketing. Ecco allora le bottiglie di Rosso Antico in edizione speciale decorate dall’artista, il logo delle Chupa Chups, e soprattutto i profumi, ai quali è riservato uno specifico spazio della mostra.
Dopo essersi trasferito in America, in seguito alla rottura con il movimento surrealista, Dalì scopre che la civiltà dei consumi offre molti spunti a una mente artistica e creatrice. E qui crea boccette di profumo che, pur avendo una funzione pratica, sono anche delle piccole opere d’arte, come l’iconico flacone a forma di labbra accattivanti e sensuali.

La sua arte ha ormai rotto gli argini ed è sempre meno vincolata ai supporti materiali tipici della pittura o della scultura, come si può vedere nelle diverse sale della mostra. Certo, c’è il classico bronzo che dà forma concreta a visioni metafisiche (come “La Vision de l’Ange”), ma la mano di Dalì va anche a decorare piatti in ceramica, a realizzare carte da gioco, a personalizzare pubblicazioni editoriali di ogni genere.
E tornando ai libri, si possono ammirare le 12 acqueforti realizzate nel 1964 – su invito del “Club français du livre” – per un’edizione francese di “The Castle of Otranto”, scritto da Horace Walpole nel 1764 e considerato il primo romanzo gotico.

Il regno dei penitenti
Il regno dei penitenti Salvador Dalì © Navigare

Il viaggio nel mondo daliniano termina a ritmo di trotto, con una stanza interamente dedicata a “I Cavalli di Dalì”, una collezione di 18 litografie realizzate nel 1983 per un cofanetto in edizione limitata in meno di cinquemila copie.

Vale la pena citare le due piccole sezioni “extra” che come due parentesi aprono e chiudono la mostra romana su Dalì, organizzata da Navigare e curata da Vincenzo Sanfo.
La prima sulla sua strettissima amicizia con il poeta Federico García Lorca, con alcuni disegni a colori del poeta; la seconda, che chiude appunto il percorso espositivo, con alcune opere di altri grandi nomi del movimento surrealista, come Mirò e Chagall, ma anche di artisti meno noti al grande pubblico come l’italiano Stanislao Lepri.

Un movimento dal quale Dalì ufficialmente si separò nel 1939, anche a causa di divergenze politiche con gli altri membri del gruppo, ma di cui rimane uno degli esponenti più rappresentativi agli occhi del mondo. E senza alcun dubbio anche ai suoi stessi occhi, stando alla sua celebre dichiarazione “Il surrealismo sono io”, perfettamente in linea con la sua strabordante personalità e con la sua abilità nel creare il mito di sé stesso.

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