
[rating=4] Nello splendido scenario del Palazzo Rosselli Del Turco, sede dell’European School of Economics, in Borgo Santi Apostoli a Firenze, dal 2 all’8 marzo 2015, la Mostra “Firenze-Fès Gemellaggio d’Arte” ha reso omaggio alle celebrazioni del 53° anniversario del gemellaggio tra le due città, siglato il 7 settembre 1961 dall’allora sindaco di Firenze Giorgio La Pira.
La mostra è stata curata da Niccolò Niccolai, Pascal Di Fazio, Anna Salvini e Roberto Giovannelli, rispettivamente Accademico delle Arti del Disegno, Presidente dell’Associazione ARCE (Association de Recherce Culturelle et Environnementale), Campus Manager dell’European School of Economics e, infine, Accademico delle Arti del Disegno.
Patrocinata dalla Regione Toscana, insieme al Ministero della Cultura del Marocco, all’Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, del Comune di Firenze e del Comune di Fès, la mostra ha portato in scena una collettiva di artisti, pittori e scultori, fiorentini e marocchini.
Viaggiando nelle sale del Palazzo Rosselli Del Turco si possono respirare quelle magiche atmosfere che hanno unito artisticamente le due città.
Passiamo in rassegna tutti gli artisti presenti. Si inizia il viaggio dalle astrazioni in omaggio al Marocco di Simone Bruni, titolate Riflesso I (2013) e Riflesso II (2013), opere che ci offrono due suggestivi ambienti nei quali domina la natura incontaminata, con i suoi colori e le sue forme, con i suoi straordinari giochi di luce che richiamano l’acqua nelle quali si specchia il caldo tramonto marocchino o le fredde albe.
Le foglie sono l’elemento centrale delle due opere di Daniela Carletti che portano titolo Foglie 2 (2014) e Foglie 3 (2014). I corpi delle foglie o i suoi scheletri invernali sono calati in ambienti onirici dalle tinte sfumate, ora in un dialogo di colori caldi ore in un intreccio di torni freddi.
Dalla pittura alla scultura con Franco Mauro Franchi. Le sue terrecotte Figura distesa sul cuscino (2010) e Femme couchée (2010) enfatizzano, con abbondanza, le formosità femminili, richiamandosi alle primitive statuette della Mesopotamia o dei nativi americani, celebranti la prosperità della Madre Terra. Ed è proprio quest’abbondanza e questa plasticità che vanno a creare preziosi contrasti di luci/ombre, fondendosi armoniosamente con lo spazio che ci circonda.
Artista curatore della mostra, Roberto Giovannelli espone Alchimie color pallido e mesto (2013) e Ape italiana (2010). Nella prima tela siamo calati in un mondo magico, ricco di colori, nel quale l’eroe, quasi smarrito, pallido e mesto – per utilizzare la definizione dello stesso autore – sembra attendere l’aiuto di quella mano di un messaggero, forse venuto in suo soccorso dal mondo soprannaturale. Nella seconda opera – ho letto nel titolo l’omaggio all’omonima rivista di Belle Arti – è come se ci imbattessimo in uno schizzo neoclassico o rinascimentale, ma permeato da elementi moderni, quali il dinamismo e la velocità che si ritrovano sia nei due cavalli che trainano un ipotetico carro, del quale se ne scorgono le ruote, sia nel conflitto uomo/belva, nella parte sinistra dell’opera.
I due Cristalli di luce (2009) di Franco Gualdani ci descrivono il movimento delle acque del fiume Ciuffenna. L’elemento vitale dell’acqua genera, incrociando le pietre del letto, delle piccole cascate e dei laghetti nei quali si riflette la luce, creando bianchi cristalli immortalati, con la capacità di un fotografo, dall’artista.
La tematica religiosa caratterizza i lavori di Massimo Mascii, pienamente calati nell’attualità e imprigionati in essa. Vittime della realtà circostante le due figure, quella del Papa emerito Benedetto XVI e quella di Ismael, figlio di Abramo – le due tele portano titolo Benedictus XVI in Cathedra Petri (2015) e Ismael El Roi (2015) – ci appaiono come degli esclusi, dei vinti, dei perdenti, dei pirandelliani inetti, spogliati dei propri ruoli, di pontefice e di figlio di Abramo, trascinati dagli eventi e fatti sprofondare nell’oscurità. A nulla vale quel tocco di luce, quello spiraglio di azzurro nella tela di Benedetto XVI e quell’intenso raggio giallo in quella di Ismaele, che squarcia i toni scuri e irreali che, invece, ci descrivono l’incapacità esistenziale dei protagonisti.
Gli acrilici di Pinuccia Mazzocco, titolati La mia ferita la mia forza (2014) e Risorgere (2014), portano su tela la figura della Donna. Quella Donna vittima di violenze, realizzate con una tratto astratto e nelle quali prevale l’utilizzo delle tinte carminie per poi tornare ad una maggiore definizione del corpo femminile, un corpo bianco genuflesso, in atto di rialzarsi, di dimostrare a tutti la volontà di riprendersi la propria vita, una resurrezione dell’anima che riporta anche il corpo alla luce.
La Donna è protagonista anche dei due bronzi realizzati da Lea Monetti: Baccante (2011) e Stupore (2013). Una giovane donna, nella quale si ammirano perfezione, armonia ed equilibrio, tiene, con grazia, un tralcio di vite, tralcio che le cinge anche il capo, mettendone in risalto la treccia di capelli. Eleganza e purezza sono racchiuse nella corta veste della fanciulla che ne mette in evidenza la seducente e sinuosa bellezza. La meraviglia e quella conseguente sensazione di mutismo caratterizzano il secondo bronzo. È nello sguardo e nella sua fissità che si accede a quella vista che lo ha sorpreso. E Lea Monetti coglie e fissa quell’attimo.
Cristina Monti, come ben sottolineato da Maria Luisa Vallomy, nelle sue due tele titolate entrambe Traiettorie di ricordi (2015) «disvela l’armonia serena dell’amato paesaggio mugellano» e lo fa con quell’intimità luminosa, quell’elegante rarefazione coloristica, giocata su leggeri tocchi di colore che si dissolvono ora negli ambienti ora negli animali rappresentati – come nel gregge o nei tronchi di betulle –.
Esaltazione del superuomo nietzschiano e omaggio a Così parlò Zarathustra del filosofo tedesco, sono l’olio su tavola Il Barchino di Gastone II (1997) e la scultura Barchino di Gastone (2012) dell’Accademico e curatore della mostra Niccolò Niccolai. Gastone è il superuomo che rinnega la società in cui vive, per guardarla dall’alto, salvando la sua esistenza dal fallimento reale del quale è, comunque, consapevole. Gastone è un povero contrabbandiere che si nasconde col barchino nelle acque e tra le canne delle impervie paludi della Toscana per sfuggire ai controlli dell’autorità. Nella tavola, così come nella scultura, domina un perfetto equilibrio di forme geometriche. Al centro di un ambiente paludoso, ostile e inaccessibile la chiara figura di Gastone che, sul barchino, con la canna in mano si pone come un equilibrista circense, osservando, da lassù, sospeso sull’acqua – quasi a richiamare la figura del Cristo – quella difficile ma seppur vitale sopravvivenza dalla quale si è, momentaneamente, distaccato.
Dal superuomo si torna al mito con le sculture di Silvano Porcinai: i due bronzi Arabesque (1998) e Minotauro (2006). Con Arabesque è possibile trovare legame con il mondo greco, vuoi per il richiamo alla danza, vuoi e, soprattutto, a mio parere, per il richiamo alle figure dei satiri danzanti. Quel corpo, nel quale la luce, rifrangendosi, crea dei bizzarri giochi di ombre, ci appare in tutta la sua grazia ma, al tempo stesso, in tutta la sua forza e la sua potenza fisica. Nel Minotauro, Porcinai unisce al corpo di torero delle arene spagnole la testa del toro. Quale essere mostruoso, che ha già riscosso ampi successi – Picasso con la sua Minotauromachia ne è uno dei tanti esempi – che, fin dalla Grecia antica, vuole essere commistione di uomo e animale, figlio del Toro di Creta con la regina Pasifae. Un umanoide nel quale domina il puro istinto sotto false e mentite spoglie di un torero razionale.
L’astrattismo è la nota dominante delle due opere di Isabella Vezzani, arista che chiude la sezione fiorentina del Gemellaggio: Orizzonti sottili (2013) una carta a mano e terra, nella quale è possibile percepire più elementi: la luce, la terra, l’acqua, il fuoco, tutti fusi in tracce ben distinte di colore che sembrano acquistare volumi realistici, trascinando l’osservatore in quelle atmosfere e in quei luoghi di arcaica memoria. Opera di sperimentazione polimaterica è la ceramica raku Tracce alchemiche (2014) che è stata realizzata da Vezzani seguendo lo stile di costruzione e cottura giapponesi. Una tecnica rara per l’Occidente che Vezzani ha utilizzato quale mezzo per esaltare la bellezza e l’armonia di elementi, apparentemente contrastanti: dall’argilla, agli smalti, agli ossidi che cambiano colore in base alla seconda cottura, esaltando la natura degli elementi, quei 4 elementi della Natura.
La sezione marocchina della mostra conta ben sette artisti nati a Fès.
Una precisione certosina, con le decorazioni di chiaro richiamo tradizionale, curate fin nei minimi dettagli, caratterizza le due tele di Ahmed Bennani, titolate Donna con il velo (2014) e Arabesco lyrico (2014). in entrambi i lavori, uno giocato sui toni caldi, l’altro sui toni freddi, si esaltano le trasparenze dei panneggi che lasciano intravedere quei perfetti nudi femminili reclinati sotto di essi, ma inseriti in essi con perfetta continuità ed omogeneità, tanto da fondersi, quasi completamente, nei panneggi, in una visione panica dl soggetto rappresentato.
Elemento che accomuna Asmae Bennanii a Isabella Vezzani è l’astrattismo. L’artista marocchina, però, gioca con i colori in modo netto, senza fusioni. Geometrie ed esplosioni coloristiche portano in scena la sua visione del mondo, sia nel Quadro n. 1 (2014) sia nel Quadro n. 2 (2014). ed è soprattutto in questa seconda opera che è possibile notare tre elementi chiave della terra d’origine, quel blu intenso del mare, il giallo della sabbia e il verde della vegetazione mediterranea me, alla perfezione della Natura, sembra far da contrasto un’esistenza, una vita, forse spezzata o non perfettamente compiuta in essa, resa con una traccia nera, sovrapposta alle geometrie naturali, caratterizzata da un segno instabile, libero e gocciolante all’estremità.
Con le opere di Omar Bouragba, entrambe Senza titolo del 2013, ci caliamo nel mistero, nel mistero della creazione. Un mondo magico che ci cattura, facendoci perdere in quel vortice di armonie di colori, che dal carminio si fondono in verdi acqua marina, negli azzurri, nei violetti. Un mistero che affascina e nel quale si ricercano angosce e speranze della quotidianità, un mondo mitico che va oltre la realtà seducendosi e incantandoci.
Gli acrilici di Abdelilah Lahbabi, entrambi titolati Pixel (2013) sono una colorata e strutturata astrazione, ora geometrica, ora libera. Sembra fondersi in esse rigore e caos, ordine e libertà, i due opposti convivono grazie a tocchi di colore che ne restituiscono la visione, ora triste ora malinconica, ora allegra e spensierata. Nella prima opera sembra quasi percepire, nella scomposizione di piani che strizza l’occhio al cubismo picassiano delle Demoiselles, un volto umano che si interroga di fronte alla realtà che gli scorre davanti, uno sguardo pessimista ed enigmatico che pone domande allo spirito dell’osservatore, nella speranza di poter trovare possibili soluzioni.
La graphic-designer Naïma Laklalech ci regala due lavori che uniscono le piccole geometrie, essenza dell’arte islamica, alle illusioni date dalle tecniche digitali. Ed ecco che da queste combinazioni nascono Emergenza (2014) e Partizione (2014).
Dalla precisione digitale ai bagliori soffusi del cielo infinito per le tele di Lahbib M’Seffer, «il pittore della Luce e del Silenzio», come lo ha definito il critico d’arte Abdelkébir Rabi’, sfumature, ora di toni caldi ora di toni freddi, si intrecciano nei cieli marocchini delle opere Etere (2014) e Simulazione (2014), facendoci perdere in quelle armonie che tendono all’infinito, nel quale si può leopardianamente naufragare, per trovare la pace dei sensi e diventare un’ungarettiana fibra dell’universo.
Uno stile singolare ed originale caratterizza le due opere dell’artista Nawal Sekkat, tratte dalla Serie Cilabre (2012-13). Opere plastiche, in continuo movimento. Dal colore prende vita la materia; le sue compenetrazioni col colore sembrano vive. Giochi di luce, resi attraverso il potente contrasto di chiaro/scuri, esaltano ora i corpi ora quelle lingue di fuoco che sembrano liberarsi dal centro della Terra, come lo zampillare della lava incandescente dalla bocca di un vulcano.
Dei tre artisti ospiti del Gemellaggio – Fatima Boussidoud, Siria Di Fazio e Souad Taha – merita attenzione la giovanissima artista Siria Di Fazio che, a soli 15 anni, ci regala due tele titolate Primavera (2013) e Estate (2013) nelle quali esce, con forza, l’amore per il colore, per la Natura e per il paesaggio. Un sentiero ricco di colori e fiori, simbolo di rinascita, ci conduce ad una lontana montagna innevata, in una calma passeggiata primaverile. La luce dell’estate e il mare nelle sue molteplici rifrazioni turchine ci trasportano là, verso l’orizzonte che si perde all’infinito.