
Dove andare il sabato alle 17.00 se sei a Milano? Ci sono i negozi, le affollate vie del centro e, lì in mezzo, il Teatro dal Verme: uno di quei posti in cui senti di poter trovare qualcosa di bello. Appunto, nel 2017 continua a non deluderci. Proseguono i concerti dell’Orchestra I Pomeriggi Musicali che il 18 marzo, guidata dal Direttore della Caracas Youth Orchestra, Dietrich Paredes, ha accompagnato i suoi ospiti a una felice passeggiata en pleine musique.
Entriamo nel vivo del programma del concerto.
Jörg Widmann, “Con Brio”
Pronti, via “Con Brio”. Distinzioni tra Widmann – Ravel – Beethoven se ne son fatte, inutile negarlo: il programma le impone, l’orchestra le espone magistralmente e ne evidenzia l’impatto drammatico su chi ascolta. A discapito della “musica nuova”, neanche a precisarlo.
È normale, risponderete, le partiture non sono e non devono essere tutte uguali. Che i giovani scrivano! OK. Osino! OK. Eppure fatico a pensare che un impasto di rimbombi ottocenteschi, di deformazioni ritmiche seguiti da due giganti della Storia non faccia rumore e non finisca per stonare.
Maurice Ravel, “Concerto in sol per pianoforte e orchestra”
Com’è che disse Bernstein al Concerto n. 1 in re minore di Brahms? «In a concert who’s the boss, the soloist or the conductor? Sometimes one, sometimes the other», quasi per smarcarsi da Glenn Gould alla tastiera e dalle sue stravaganti genialità. Anzi, troppo stravaganti.
Simbolo d’eccellenza di un lavoro riuscito, la sinergia tra direttori e pianisti fa sempre piacere. Ed è bene ammettere che l’esecuzione di settimana scorsa dei movimenti “Allegramente”, “Adagio assai” e “Presto” ad opera del duo Paredes – Cominati è stata capace di raccontarci l’effervescente ma malinconica leggerezza dei famosi pezzi raveliani. C’è l’impressionismo, c’è il jazz. Di conseguenza, con buona pace di Beethoven altrimenti si offende, nel complesso vince l’après-midi con un 10 da lode. Un esito capace di cambiare pure il discorso del ’62 alla New York Philharmonic. E diremo: «Who’s the boss, the soloist or the conductor? It’s their union».
Va avanti ancora Roberto Cominati, un Premio Busoni che sa donare ai poltronisti ben più di quello che leggono sul cartellone, più di quello per cui comprano il biglietto. Suona due brani, “Milonga del Angel” di Piazzolla e “Tic Toc Choc” di Couperin: puro repertorio pianistico, ovvio, ma non importa. Perché in fondo nasce da qui l’essere artista autentico, elegante, generoso… è una di quelle cose che non si smentisce mai, c’è e basta.
Ludwig van Beethoven, “Sinfonia n. 7 in La maggiore op. 92”
Secondo i manuali musicologici, la Sinfonia n. 7 venne rappresentata all’Università di Vienna la sera dell’8 dicembre 1813 e riscosse uno straordinario successo, perfino l’ “Allegretto” (di nome, poco di fatto), tanto da essere bissato tra i commossi applausi degli astanti. Wagner la definì «apoteosi della danza»: noi non ci azzardiamo ad affermare di meglio. E allora venga, nella scaletta de I Pomeriggi, la Settima. La fresca, la gioiosa Settima di Beethoven: monumento al movimento e al ritmo spensierato. Spensieratissimo.
Paredes la stacca al tempo giusto, slega, non impasta i fraseggi. Se può, ribatte con forza e vi adagia il catturante tema melodico. Non fa, dunque, il Karajan e nemmeno il Kleiber della situazione. Sicché, se si ragiona solo di gusto, i piedi ballano.
Gli spettatori? Gli spettatori, per lo più tutti over 60, hanno compassatamente gradito sia Ravel sia Beethoven. Meno il clarinettista tedesco, come biasimarli.
Ed ecco il punto dolente. I maliziosi, ma proprio tanto, potrebbero interpretare la scarsità di giovani tra il pubblico di sabato come estrema unzione alla salute della musica classica in Italia: no Pop, no Millennials. Esagerati.
Però in effetti, volendo essere obiettivi, l’incongruenza tra gli entusiastici report annuali dell’audience pubblicati dagli Enti Lirici e la nostra esperienza del 18 marzo è il sintomo che davvero qualcosa non va. Il mal di classica insiste. È un virus, e ormai nemmeno troppo sottile, visto che una dopo l’altra le maggiori accademie nazionali si popolano di studenti extraeuropei, vaporizzando così monopoli e peculiarità da secoli nostrane.
Scuola. Alla fine si arriva sempre lì. Infatti è dalle sue patologie che, tra le altre sofferenze sociali, è sorto il mal di classica. Da noi, lo sappiamo, nessun El Sistema venezuelano (modello didattico, ideato negli anni ’70 da José Antonio Abreu e gestito dalla fondazione statale FESNOJIV. Prevede un’educazione musicale pubblica con accesso gratuito per bimbi di ogni ceto. Da questo stesso clima nasce anche Dietrich Paredes) a salvarci: quando un bambino non ha genitori che gli possano pagare un’educazione musicale costante, non rimane molto da fare.
Perciò, aspettando Riforme Scolastiche migliori (quindi aspettando Godot), serve che qualcuno nel mentre ci metta un cerotto. Come a casa di Paredes. Toccherà magari a istituzioni sinfoniche simili al Dal Verme, che dal 2001 è palcoscenico di riferimento per produzioni illustri – Festival umanistici e incontri con politici e intellettuali di fama mondiale. Perché, insomma, è mai possibile che su oltre 60 concerti in un anno, su circa 1400 posti a sedere disponibili nella sala milanese, di cui quasi un migliaio riempiti, solo qualche decina di ragazzi under 35 abbia deciso di solcare le porte del Teatro in via S. Giovanni sul Muro? Possibile, certo, anche se chiami la 72° edizione de I Pomeriggi “La Tradizione del nuovo”, la dedichi a talenti nel fiore dell’età e ti muovono ottime intenzioni. Sarà colpa di un’insufficiente pubblicità online, forse di una scontistica non accattivante, comunque i risultati delle analisi sono stati impressionanti. Peccato.