Tosca! Largo ai ragazzi!

La Tosca diretta da Fogliani per un pubblico di giovani studenti e belle famiglie

Questa volta torno a casa da Teatro contento. Non tanto per quello che ho visto sulla scena, di cui darò cronaca più avanti e che di per sé meritava, ma per quello, o meglio per chi, ho visto in platea. Bastava voltare lo sguardo nelle varie direzioni per capire che in platea si era circondati da ragazzi giovanissimi. E’ stato bellissimo assistere a questa recita in cui appena possibile l’entusiasmo suscitato dal palcoscenico alla giovane platea a stento veniva trattenuto dagli studenti, i quali poi esplodevano alla fine di ogni atto in un vero e proprio tifo da stadio. Ripeto bellissimo.

Come si fa a portare tanti ragazzi a teatro, anzi all’opera?

Ecco la ricetta vincente che propone FONDAZIONE ARENA: si abbassa il costo biglietto (notevolmente) e si anticipa l’ora di esecuzione alle 19.00; si propongono pacchetti per le famiglie (nome dell’iniziativa RITORNO A TEATRO n.d.r.) che permettano di procurarsi posti di primordine a prezzi assolutamente vantaggiosi in alcune sere dedicate; si organizzano appuntamenti “gustosi”  e ben studiati in cui i ragazzi assistono ad una sorta di “how to make” dell’opera giusto un’ora prima dell’inizio dello spettacolo, in cui senza noia e pedanteria, ma con curiosità, si introduce l’allestimento dell’opera potendo anche parlare con alcune delle maestranze ospiti. Si aggiunga anche l’informazione:  fatta nel giusto modo con personale cortese, ben formato e molto paziente; oppure, permettere consultando il sito internet www.arena.it, di capire quale sia la promozione che faccia al caso proprio.

Una lode va poi a quei professori  e quei genitori che si sono fatti carico di informarsi, prenotare i biglietti e infine portare i loro ragazzi a teatro. E una lode va comunque fatta a FONDAZIONE ARENA che incentiva, ormai da qualche anno, iniziative come queste, ed altre ancora, mostrandosi  così uno degli enti più generosi nei confronti del pubblico giovane: pubblico che un domani, a teatro facilmente ritornerà vista la buona ospitalità di cui è fatto oggetto. Non che questo possa risollevare le immediate emergenze economiche di FONDAZIONE ARENA di cui siamo stati informati ad inizio spettacolo da una decorosa e significativa denuncia sulle condizioni contrattuali e liquidatorie dell’ente stesso che ha colpito l’intero corpo di ballo. Denuncia che giustamente va estesa all’intero sistema ITALIA circa la mala gestione manageriale delle abbondanti risorse inutilmente sottratte alla cultura ed allo spettacolo. La protesta  infatti accumunava la situazione veronese ad altre grandi fondazioni liriche del territorio italiano. Momento di riflessione condiviso ed applaudito calorosamente dall’intero pubblico. Ma nel teatro c’è bisogno di seminare e FONDAZIONE ARENA ha molto da insegnare ad altre pregevoli istituzioni più parche di iniziative.

Venendo alla cronaca, abbiamo avuto modo di rivedere il curatissimo allestimento di TOSCA  firmato da Giovanni Agostinucci per regia scene e costumi. L’allestimento, datato 2004, mantiene nel tempo la sua efficacia. Il regista ha elaborato l’intero spettacolo traendo fonte direttamente da Sardu, ispirandosi alla pittura di David ed a quella di Gericault per la caratterizzazione psicologica dei protagonisti. Il risultato è uno spettacolo, che pur restando nel solco della tradizione visiva di TOSCA per scene e costumi, la reinventa concentrandosi sui difficili legami tra i personaggi principali anziché concentrarsi su una didascalica descrizione decorativa. Ammetto che una maggiore attenzione in fatto di costumi non avrebbe guastato. Agostinucci firma uno spettacolo senza tempo, in cui gli elementi scenici illuminano il momento psicologico dei protagonisti raccontando efficacemente le dinamiche della storia. Ogni scena ha infatti il sapore di ciò che il personaggio vive. Così ci si innamora tra candidi veli in chiesa dei due protagonisti, ci si intimidisce dall’opulenza spettrale del TE DEUM  e ci si atterrisce alla vista così tetra dello studio del barone nel secondo atto, vera e propria sala delle torture.

Molto efficaci alcune trovate sceniche, tra tutte sicuramente l’entrata di Scarpia in chiesa grazie alla quale si avverte financo l’urto tellurico del suo ingresso, e la forza  virile del suo potere prepotente. Di tutto lo spettacolo la parte un po’ meno efficace visivamente resta il terzo atto. Scenicamente infatti si scolla dai riferimenti pittorici di prima e si avverte la polvere degli anni negli effetti luminosi  di un cielo gigante che campeggia sulla scena commentandola,  ma che sicuramente sono da aggiornare, ora come ora infatti risultano più banali e scontati di tredici anni fa probabilmente. Peccato poi per la molto discutibile resa del sacrificio catartico di Tosca nel finale. La diva infatti non solo non si getta da Castel San’Angelo ma decide, dopo un primo ripensamento, di gettarsi sulle baionette dei fucili puntati contro di lei e di finire la sua vita abbracciata al bel Mario. L’esito non risulta catartico, ma resta un goffo modo di disattendere una trama già nota, complici sicuramente la scarsa convinzione scenica degli attanti in quel momento. Spettacolo comunque bello e da conoscere.

Musicalmente ci sono stati molti aspetti interessanti. Prima di tutto la prova dell’Orchestra  alle prese con la lettura del Maestro Antonino Fogliani: puntuale, dinamica e serrata. Il colore era cupo, sempre teso pronto ad esplodere ma capace anche di evocare le trasparenze traslucide dei momenti più lirici ed intimi. Fogliani si è dimostrato grande interprete della partitura pucciniana e gli si può francamente perdonare qualche esuberanza di troppo quanto a portata di suono, talvolta infatti l’orchestra tendeva a coprire la protagonista più che a sostenerla: ma nel complesso una prova ottima.

Il terzetto dei protagonisti era sicuramente di primo ordine, ma su tutti ha sicuramente fatto breccia nel pubblico la voce del giovane tenore turco Murat Karahan, all’uscita da teatro non erano in pochi a controllare sulle locandine il nome dell’interprete di Cavaradossi. La voce presenta un bellissimo timbro di tenore lirico eroico capace di belle smorzature con acuti brillanti, invadendo ogni angolo del teatro. La sua è stata una vera interpretazione di Mario: amante appassionato, eroe, patriota, artista innamorato della propria donna e della propria arte ed in tutto questo la voce si piegava a descrivere ogni dettaglio. Murat ci ha dato Mario Cavaradossi in carne ed ossa.

Il rivale in amore, il barone Scarpia, è stato sostenuto dall’eccellente baritono romano Giovanni Meoni, il quale è riuscito nella difficilissima impresa di creare un personaggio che non fosse semplicemente un corvo bieco e accecato dall’odio per il pittore e dall’amore per la diva. Non si può dire che la voce di Meoni sia enorme, ma sicuramente possiede un mezzo vocale ragguardevole e di bel timbro, anche se non scurissimo, e soprattutto la usa benissimo. L’emissione è sempre molto ben proiettata in maschera e supera sempre la barriera orchestrale senza problemi a differenza dei suoi colleghi che, in questo, a volte risultano più in difficoltà. Meoni ha dettagliato un personaggio credibile e autentico: ci racconta la storia di un uomo egocentrico, autoritario, vanesio, malvagio e innamorato.

Al fianco di fatti colleghi completa il cast la veterana Fiorenza Cedolins, che guarda da non molto lontano il sorgere del suo trentesimo anno di carriera. Nonostante i tanti anni la voce è fresca,  bellissima, pastosa e leggera. Molto sapientemente, non possedendo un timbro ed una cavata da soprano drammatico, affronta questo ruolo difficilissimo da grande belcantista quale è. La voce non è mai fatta sprofondare nel registro di petto, evitando così ogni tipo di sguaiatezze,  ma viene portata nelle note gravi con un’emissione mista in cui la maschera è sempre presente e che le consente di far udire sempre un bel suono omogeneo in tutta la gamma: dal grave agli acuti lucenti. E’ la dimostrazione del fatto che se si affronta il canto con disciplina e studio anche a distanza di parecchi anni la voce non ne risente anzi, matura e migliora. Mi auguro di sentire presto, e per lungo tempo ancora questo soprano dal tipico sapore italiano, un canto sul fiato e a fior di labbra. Quanto alla “scenica scienza” della signora le cose non vanno così bene: meno cosciente dei suoi colleghi l’interpretazione della Signora Cedolins funzionava ad intermittenza. Vi sono buone intuizioni, come la nevrosi maniacale che a tratti appare nel terzo atto; ma restano pur sempre intuizioni, il tutto è poco approfondito il che non l’aiuta a creare ancora una vera Tosca ma la sua illustrazione acquerellata. A questo punto mi chiedo però quanto, e di che tipo, sia stato il lavoro con il regista (o con il suo aiuto) e quanto questi si sia affidato alle doti naturali degli interpreti per creare i personaggi. Ricordo che a far grande Maria Callas, non fu soltanto la sua dote innata di grande attrice ma lo studio approfondito di personaggi chiave con Visconti, Zeffirelli e altri grandi maestri di teatro. Tosca ci convince poco come provocante assassina nel secondo atto (pregevole ed applauditissimo il tanto atteso “vissi d’arte”) e il personaggio resta risolto a metà.

Per concludere ottima la prova del coro ed eccellenti tutti i personaggi secondari: sagrestano Mikheil Kiria, Angelotti Gianluca Lentini, Spoletta Antonello Ceron, Sciarrone Andrea Cortese, il carceriere Daniele Cusari ed infine il pastorello di Stella Capelli a dimostrazione che lo spettacolo non è fatto solo dai divi ma da tutti.

Pubblico caloroso che alla fine ha tributato il successo meritato a tutti gli artisti.

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