
Suona la sveglia è giorno e tocca far luce in un container-chiatta tutto grigio-giallo-verde muffa sospeso nel mare. Due finestrelle alte, dei lastroni di vetro, zozzo, usurato sul soffitto dove le luce è filtrata dall’opaco-penombra che li caratterizza. Clov tutto indaffarato cammina impetuosamente da un alto all’altro del rettangolo della stanza per far luce al nuovo mattino. Apre i punti luce. Da aria a due sarcofaghi, cassettoni contenenti due esseri senza gambe, nudi come fossero in un obitorio pronti per l’estremo saluto.
Roberto Sturno, corre, si dimena, apre e chiude la scala e per ultimo svela sotto un lenzuolo-coltre Hamm, il suo signore. Beckett, Premio Nobel per la letteratura, colloca in questo angusto spazio, quattro personaggi. Il padrone cieco è su una sedia a rotelle, i suoi genitori i suoi genitori Nagg e Nell, chiusi in due sarcofaghi, come, se non pronti all’ultimo saluto, spazzatura, e un servitore che non si può sedere.
Ognuno ha la sua specialità osserva il protagonista, Glauco Mauri, e la sua immancabile bravura, riempie di eccellenza il contesto. Non da meno il suo compagno in scena: una coppia più che collaudata, un sicuro successo e garanzia di ipnotica attenzione in un testo difficile, pesante, dove la tragedia del vivere diventa farsa e la farsa del vivere diventa tragedia. I genitori fanno capolino e ancora arzilli sentono attrazione l’uno per altro e vorrebbero toccarsi, ma…,non è possibile. Vengono calmati nei bollenti spiriti con qualche biscotto. Ma no è pane duro!
Il repentino moto di Clov è di utilità per gli altri tre inquilini del tugurio, per cibo o illusione dello stesso, in effetti è finito; per comunicare i cambiamenti metereologici, con il suo cannocchiale che spesso cade. Tutti in attesa di un finale, come di una partita che è la vita di chi soffre o è in condizioni difficili. E ad arrivare non mancherà prima per la signora, poi per il marito e una volta “uscito” in simulazione appnto, con tanto di soprabito e valigetta per il servitore, si farà spasimo per Hamm, tra un racconto, una favoletta, un cane peluche, un giro largo e lungo in più rasente possibile al muto primetrale, e la conseguente ricerca del centro stanza con dovizia di sensazioni, qualche aneddoto o la stesura, mentale e vocale, di romanzo.
E sulla morale del protagonista: “Chi ha una vita più infelice della mia?!?!” e del coprotagonista “amore è anche guardare un amico e vigilare che l’amicizia sia condivisione di disagi”, arriva un grande applauso del pubblico e l’immancabile finale della pièce, e dello scritto beckettiano, che ne è trama ed appunto l’assurdo e grottesco coesistere di speranza e pietà nella perfetta regia di Andrea Baracco.