Un Decameron contemporaneo

In scena a Trento il nuovo spettacolo diretto da Stefano Cordella

Decameron foto Alessandro Saletta

A quasi un anno di distanza dalla mia intervista al regista Stefano Cordella, è andato in scena a Trento il suo spettacolo “Decameron, una storia vera” nato dalla collaborazione con Filippo Renda, con il supporto della produzione dell’MTM e Trento Spettacoli.

Il progetto è nato nel 2019 ispirandosi alla trama boccaccesca di dieci giovani che per sfuggire dalla peste, scappano in un luogo isolato e iniziano a raccontarsi novelle. Cordella riadatta il Decameron attualizzandolo, dandoci un’idea distopica della nostra epoca. Le nostre pestilenze sono il Covid e le catastrofi ambientali che minacciano l’umanità. I protagonisti sono sei giovani (Sebastiano Bottari, Martina Lovece, Greta Milani, Filippo Renda, Daniele Turconi, Nicolò Valandro), anche loro si recludono per fuggire dalla pandemia, ognuno raccontando la propria storia, abitudini, ansie e paure. Lo spettacolo è suddiviso in 10 giornate e inizia dalla vicenda nata a New York il 19 settembre 2020, quando a Union Square fu posizionato un timer che iniziò un conto alla rovescia che terminerà tra 7 anni, momento che segnerà la definitiva catastrofe ambientale. Tra pandemie e disastri, è lecito quindi che l’umanità sia presa dal terrore e si ponga delle domande. È ciò che fanno i personaggi all’interno di questo Decameron contemporaneo, attraverso l’espediente dei video-racconti in cui gli attori rielaborano episodi o visioni personali. Lo spettacolo si apre con “Dati” la prima giornata in cui durante una festa appare sullo sfondo il count down e si prosegue con “Intrattenimento”, momento in cui si rappresenta un grottesco talk show. Segue “Contatto”, in cui si mette in evidenza la costante paura del contatto che influenza la nostra vita attuale. Molto riuscito è il racconto “Controllo” che si incentra sul dialogo tra una voce robotica e una ragazza che preferisce passare il suo tempo chiusa in un bagno pubblico a disegnare piuttosto che a vivere nella società. Da questa scena emerge la paura dei giovani di non essere accettati dagli altri per quello che sono, con i loro talenti e la voglia irrefrenabile di poter esprimere sé stessi attraverso ogni forma di arte. Ma questo timore è mitigato dalla tecnologia: in fondo perché affrontare i giudizi negativi delle persone al di là del nostro piccolo mondo se ci sono altri mezzi (come i social media) per ottenere l’approvazione desiderata?

Se da una parte possiamo immedesimarci negli stati d’animo di alcuni protagonisti, la narrazione tuttavia risulta troppo frammentaria, criptica e faticosa da interpretare.

La scena è cupa e basilare, ad ogni cambio scena gli attori spostano i vari oggetti sul palco. Ad incrementare il pathos emotivo delle singole scene sono la musica, la presenza di una telecamera che proietta su pannelli scenografici le azioni svoltesi sul palco e i volti espressivi degli attori in primo piano: ancora una volta si evidenzia come il nostro mondo sia dipendente dalla tecnologia. Il contrasto tra quest’ ultima e l’ambiente in fase di deterioramento è un filo conduttore per tutto lo spettacolo. Gli attori riescono a esprimere in maniera eccellente le emozioni dell’uomo diviso tra il mondo tecnologico e quello della natura, dal quale è sempre più lontano.

Interessante è il bagaglio di domande che questo spettacolo lascia allo spettatore, portandoci a riflettere su alcune questioni fondamentali scaturite dalle vicende che da quasi due anni ci accompagnano: come si prospetta il futuro per le generazioni successive? Le diverse scene dello spettacolo sembrano riuscire a scuotere la coscienza del pubblico: come evitare il peggio? è meglio restare fermi ad aspettare la fine di ogni cosa oppure agire e lanciarsi in un ultimo disperato tentativo di salvataggio dell’uomo e dell’ambiente? La scelta è solo nostra.

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