
[rating=4] Giulia Carcasi ha scritto che sporcare la bellezza è facile, perché difenderla è difficile, eppure la ferocia realista di questa affermazione si contra col fascino estremo di certe bellezze sporche, disadorne e per questo ancor più affascinanti.
E’ il caso di Titanic, qui “the end” nella versione di Salvatore Cantalupo che recitò con Antonio Neiwiller quando ancora il teatro poteva vantarne la presenza sulle scene napoletane. Un’opera universale che parla in un grammelot sconosciuto eppure noto al tempo stesso, come il grido degli indigeni conradiani, così inquietante eppure così ravvisabile ai quei cuori che hanno conosciuto la tenebra.
Il Teatro Vascello nell’ambito de Le vie del Festival prosegue spedito nella sua vocazione sperimentale e ripropone al pubblico capitolino questo testo di naufraghi in attesa o in fuga, o forse entrambe, che come clown maldestri cercano di riconoscersi a sé stessi e al mondo. Non c’è trama né scontro, perché lo spettacolo è una visione tutta umana di ciò che anime vagabonde, reiette, profughe possono incarnare, c’è un marinaio e un gruppo di emigranti, una nave che è anche una balera e un gioco di luci e girotondi che incanta con la sua semplicità così evocativa. Non si racconta nulla dopotutto, se non l’eterno viaggio dentro noi stessi che solo in apparenza si finge viaggio verso l’altro, l’esterno, lo sconosciuto, impossibile darne un senso, troppo sciocco o limitante, bisogna vederlo e basta.
Splendido l’allestimento con il disegno luci di Cesare Accetta, bravi gli attori: Amelia Longobardi, Ambra Marcozzi, Massimo Finelli, Chiara Vitiello, Sonia Totaro,Carmine Ferrara, Claudia Sacco; un’esperienza ancor prima che una rappresentazione, nell’immaginario di un drammaturgo fuori dagli schemi.