Suggestioni sceniche, colori, umorismo e imprevedibilità al Duse di Bologna

[rating=4] Grande risposta del pubblico al Teatro Duse di Bologna per lo spettacolo per tutta la famiglia “le cirque invisible”. Un buffo personaggio dai lunghi capelli bianchi inizia con qualche esperimento di micromagia, che ben presto si mischierà alla comicità, divertente ed imprevedibile. Jean Baptiste Thierrée, questo il suo nome, ci colpisce con una raffica di battute non verbali: ci fa ridere con ogni oggetto che estrae dalla sua valigia, con il modo con cui ci gioca, li interpreta e li muove. Ricrea delle storie soltanto passando da un oggetto all’altro, ci accompagna in questo mondo illusorio e magico, dove sono importantissimi i colori, le forme, la sorpresa che si ha scoprendo che un oggetto in realtà ne nasconde, o si può trasformare, in un altro.

Non appena entra in scena, il pubblico già ride per il suo vestito coloratissimo e stravagante,  sempre in tinta con la valigia e gli altri accessori, per le sue espressioni facciali e per quella dote di simpatia innata che non può mancare ad un clown. Il circo e la clownerie messa in scena non sono però quelli classici, con clown truccati e vestiti in modo buffo, ma piuttosto un circo “vecchio stile”, che esalta l’eleganza e non la superficialità, che fa ridere anche perché chi lo sta facendo si diverte come un bambino. Il pubblico non può che rimanere ammaliato da tanta maestria nell’unire la micromagia e la clownerie ad un rapporto con il pubblico così intimo ed emotivo. Molto suggestivo il numero con i conigli, che escono dal suo “cappello magico”, e poi, abbandonati sul palcoscenico, camminano, guardano anche loro lo spettacolo, e vengono attorniati da tanti conigli di peluche moventi, dove si farà fatica a distinguere quelli veri da quelli falsi.

Di tutt’altro genere, ma non per questo meno coinvolgente, il lavoro di Victoria Chaplin, moglie di Jean Baptiste e figlia del famoso Charlie Chaplin. La micromagia e la comicità lasciano il posto al trasformismo e alla giocoleria di Victoria, che mai si cimenterà in classici del circo visti e rivisti, ma entrerà in scena con costumi suggestivi, che poi scomporrà e ricomporrà per creare altre situazioni, abbinando il tutto ad un uso del corpo molto ben riuscito. Un esempio è senza dubbio la figura che ricrea tenendo in rotazione alcuni ombrelli rossi, oppure il trasformare il costume da dama dell’ottocento, con gonna rigida fino alle caviglie, per farlo diventare un cavallo. Anche in questo caso niente è ciò che sembra, gli oggetti vengono reinterpretati e rivisti, ma in tutte le situazioni si mantiene una pulizia e un’eleganza nei movimenti sopraffina, data da anni di esperienza e ore di allenamento quotidiano.

I due lavori procedono parallelamente, entrano uno nell’altro, consentendo i cambi di costume e di scenografia (peraltro rapidissimi) ad un artista mentre l’altro è sul palco con il suo numero. Ed è veramente bello e delicato il passaggio da uno stile all’altro, dal ridere all’emozionarsi per le figure e le suggestioni cromatiche di Victoria, per poi ritornare alla risata.

Anche dal titolo si capisce che il circo c’è (i due artisti hanno ovviamente estrazione circense) ma non si vede, resta impalpabile. Unica pecca: Jean Baptiste Thierrée utilizza registrazioni e canta in francese, e questo diminuisce la fruibilità per chi non conosce la lingua

Uno spettacolo che ha generato molte aspettative e non le ha tradite.

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