Il Ferdinando di Annibale Ruccello riportato in vita da Nadia Baldi

Nel 1986 Annibale Ruccello porta in scena un’opera che diventa subito un caposaldo del teatro italiano, Ferdinando, con l’indimenticabile interpretazione di Isa Danieli. A trent’anni di distanza questo testo rivive grazie alla regista Nadia Baldi e agli attori Gea Martire, Chiara Baffi, Fulvio Cauteruccio e Francesco Roccasecca, dal 7 al 25 novembre al Piccolo Bellini di Napoli.
La vicenda ha come protagonisti Donna Clotilde (Gea Martire), baronessa borbonica decaduta e volutamente reclusa in una casa di campagna in provincia di Napoli insieme ad una cugina povera, Gesualda (Chiara Baffi), Don Catellino (Fulvio Cauteruccio) il prelato del paese e Ferdinando (Francesco Roccasecca), nipote alla lontana di Donna Clotilde che, rimasto orfano, chiede ospitalità alla zia, mai vista fino a quel momento.
L’annichilente routine dei tre fatta della malattia (molieremente immaginaria) di Donna Clotilde, delle cure svogliate di Gesualda e delle litanie pedanti di Don Catellino, viene interrotta dall’arrivo improvviso del ragazzo che con la sua innocente ma allo stesso tempo irresistibile sensualità, il servile candore e la straripante energia squarcia il velo di menzogne e di desideri repressi che ricopre le loro misere vite.
Ferdinando, presentatosi come un ragazzino ben educato e timorato di Dio, si rivelerà presto un giovane dalla bellezza conturbante e oscura, capace di soggiogare sessualmente tutti e tre i protagonisti che prima godranno di questo ritrovato piacere della carne (e anche dell’amore nel caso di Donna Clotilde e di Don Catellino) ma poi finiranno per esserne tragicamente annientati capendo di essere stati beffati da quello che fondamentalmente è uno sconosciuto lussurioso e avido.
Ma Ferdinando non è solo il racconto di come i desideri a reprimerli per tanto tempo poi vengano fuori con una violenza che non può essere arginata, c’è altro, tanto altro: c’è il rapporto paradossale di affetto e disprezzo che unisce Clotilde e Gesualda, da un lato legate dal sangue ma dall’altro separate inesorabilmente dall’appartenenza a due classi sociali opposte e inconciliabili; c’è il rifiuto di Clotilde di parlare italiano, di sentirsi appartenente ad una nazione che non la rispecchia, lei nostalgica dei Borbone e di quella regalità partenopea perduta; c’è la pulsione carnale di Don Catellino, prete omosessuale che però non disprezza rapporti occasionali e furiosi nella tromba delle scale con Gesualda; c’è Gesualda appunto e il suo amore puro, mortificato per quell’uomo di chiesa che la umilia e le spezza il cuore preferendole ragazzotti adescati nel cortile della Chiesa.
Su tutti loro si erge la figura di Ferdinando che si fa scherno di queste debolezze e le studia per renderle armi letali.
Ad una storia che tocca picchi altissimi sia di comicità che di drammaticità si aggiungono in questo spettacolo altri elementi che lo rendono un piccolo gioiello teatrale.
Innanzitutto gli attori, a partire da una incredibile Gea Martire, instancabile e senza freni in un ruolo che interiorizza fino a versare lacrime vere sullo spiazzante finale, c’è poi Chiara Baffi, esplosiva, dolorosa, cattiva fino al fastidio ma anche così commiserabile nei panni della zitella (“Perché essere zitella è un modo di essere, non c’entra se una fotte o no”, come le dice Donna Clotilde ad un certo punto) e che dire di Fulvio Cauteruccio, viscido, misero, privo di ogni empatia, lo guardi e ti fa un po’ schifo e un po’ pena, insomma una parte interpretata alla perfezione, ultimo ma di certo non per bravura Francesco Roccasecca, un giovane Lucifero demoniaco e sensualissimo, che nel ruolo di Ferdinando parte cauto, timido, come il suo personaggio, per poi deflagrare in un’esplosione di eros e di seduzione che turba lo spettatore proprio come turbati sono i protagonisti della storia.
A fare da sfondo la scenografia di Luigi Ferrigno che gioca con gli oggetti, cambiando loro forma e scopo, reinventandoli in un’atmosfera che ha l’aria di una romantica decadenza, perfetto scenario per questi personaggi che vivono la sospensione di un eterno canto del cigno.
Le luci di Baldi, le musiche di Marco Betta e i costumi di Carlo Poggioli danno il tocco finale ad uno spettacolo che regala due ore e mezza di emozioni fortissime e devastanti.