Retroscena di una famiglia separata

Dal sipario sbuca un nastro di stoffa bianca con sopra un oggetto non ben identificato, ma che di sicuro non sembra quello che in realtà è: un telecomando. Utilizzandolo come se fosse un joystick due ex coniugi, interpretati da Angela Finocchiaro e Michele Di Mauro, possono far partire, fermare o cancellare la registrazione del filmato che servirà ad iscrivere la loro figlia a scuola media superiore, in una scuola tanto ipertecnologica quanto stramba. Invece del solito modulo da riempire, le domande sono scritte su un foglio e le risposte devono “semplicemente” essere registrate da una telecamera. Questa è l’occasione per i due ex coniugi di rivivere una parte del loro passato, di becchettarsi su ataviche diversità caratteriali, di tentare di risolvere alcuni nodi rimasti irrisolti e soprattutto di stare un po’ insieme come non fanno da anni, confidandosi e confessandosi l’un l’altro in modo schietto e sincero come forse non hanno fatto mai nemmeno quando stavano insieme.

All’inizio, come comprensibile, ognuno ha qualche sassolino nella scarpa da togliersi e, conoscendo i punti deboli dell’altro, si diverte a stuzzicarli, come quando il marito mostra alla moglie la vista dalla finestra del liceo posto al settantesimo piano di un grattacielo, costringendola ad attaccarsi ad una colonna in preda al panico, dato che le vertigini “le ho vinte e stravinte, ma non voglio umiliarle!”; oppure quando lei costringe lui a rendicontare i suoi averi e le sue possibili entrate, “consulente? Quelli che non fanno un ca**o si chiamano consulenti!”, fino a fargli ammettere che “posso vivere come un nababbo se muoio entro l’anno” e forse non si potrà permettere la retta del liceo. Le punzecchiature, che evidenziano qualche rancore sopravvissuto al passare del tempo, continuano sulla neo famiglia di lei, dove Beatrice, la figlia della coppia, convive con la “sorellastra”, figlia del nuovo compagno di lei. “Sorellastra non lo dicono più neanche in Cenerentola!”.

Il ritmo comico è elevato, si ride oltre che per le battute, sicuramente riuscite, anche per le movenze fisiche dei due, specie della Finocchiaro, come quando “somatizza” la rabbia oppure quando tenta di uscire lateralmente dall’inquadratura della telecamera in caso di una domanda particolarmente scomoda a cui rispondere.

Finalmente i due si focalizzano sul motivo per cui sono lì: l’“open day” del liceo, da cui il titolo dello spettacolo, è l’occasione per capire se Beatrice è in grado di entrarvi e per loro di avere un’idea su che tipo di istruzione le garantiranno. I due concordano cosa dire davanti alla telecamera, ma più spesso ognuno fa di testa sua, con il proprio stile, incorrendo nello stop dell’altro e nelle ovvie polemiche. Il quadretto che esce fuori dalle registrazioni ma soprattutto dai “fuori onda” è una figlia influenzata negativamente dalla loro separazione, “materie in cui eccelle? Saltiamo! (e lei scorre lateralmente per uscire dall’inquadratura)”, “attitudini? Ha cambiato molti hobby quindi… attitudine al cambiamento!” oppure “le attitudini ce le ha tutte, basta che qualcuno gliele trovi!”; Beatrice non comunica molto con loro, “Ma a te parla?!”, non ha buoni risultati a scuola, per arrivare al sei della sufficienza lei parte “dal basso, dal tre che così ha più rincorsa o dal due (mima il due con la mano) che sembra proprio una fionda!”; si evince che loro non hanno molta stima di lei, “parcheggiare Beatrice in un liceo privato senza che sia investita dallo studio” fino alla domanda dai tratti quasi drammatici: “pensi che Beatrice non ce la faccia?!”. Si inizia a percepire il motivo della scelta del liceo supertecnologico e delle “mance” che danno alla figlia, nel tentativo di alleggerirsi la coscienza per riempire il vuoto affettivo verso la figlia, e ovviamente quest’ultima approfitta della situazione prendendo a prestito cose dai genitori per rivenderle e comprarsi quello che vuole.

Gli argomenti, sebbene non leggerissimi da un punto di vista psicologico-sociale, sono trattati con leggerezza e intelligenza: non vengono sviscerati nel profondo, sono solo toccati e illuminati con molta ironia. La narrazione non è comunque superficiale: si vanno a scovare riflessioni per niente scontate, come ad esempio: “non siamo adatti ad essere genitori, siamo adatti ad essere figli”, mostrando il loro disagio per questo ruolo a cui nessuno, nemmeno i loro genitori, li ha preparati. La successiva ricostruzione del loro rapporto coi rispettivi genitori, oltre a sottolineare con forza il gap generazionale che li divide, mostra da dove derivino gran parte delle loro manie e paure, cioè le loro “tare familiari”: “Tu sei tua madre più i corsi per non esserlo!”.

Si ride anche per le critiche alla scuola, che ha un taglio moderno ma risulta incredibilmente superficiale, completamente inadeguata a garantire una formazione degna di questo nome: si va dai corsi a favore del bullismo (che però raccontano una “copia sputata del mondo degli adulti…”) alle lezioni di filosofia con taglio gossip, fino ai laboratori su come “pareggiare le unghie ai barboncini”.

Il testo di Walter Fontana, creatore di Carcarlo Pravettoni e del Dottor Frattale oltre alla co-sceneggiatura di film comici con Aldo Giovanni e Giacomo ed Ale e Franz, è leggero e scoppiettante, sembra scritto apposta per i due attori, peraltro molto bravi. Il risultato è uno spettacolo divertente e spigliato, che più di una volta ha portato ad applausi a scena aperta.

“Cosa gli stiamo lasciando a Beatrice?!”, “il bilocale in via Garibaldi”…

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