“Onegin. Commentaries” di Alvis Hermanis: la storia dietro il romanzo

Per il debutto in Italia di Onegin. Commentaries, ultimo lavoro del maestro lettone Alvis Hermanis, è stato scelto il Teatro Storchi di Modena e la nona edizione del VIE Scena Contemporanea Festival, dove da varie stagioni il regista è di casa. Uno spettacolo tratto dal romanzo in versi “Eugene Onegin” dello scrittore russo Alexander Puskin, fondamento della letteratura russa moderna, la cui composizione durò quasi 10 anni, dal 1822 al 1831, e che ispirò l’omonima opera lirica di Čajkovskij, le cui note si affacciano anche nell’allestimento di Hermanis.

Nella messinscena la vita dell’autore si mescola con il lirismo del romanzo, dal quale si disciolgono le figure cardine. Lo spleen del dandy byroniano Eugenio Onegin, romanticamente amato da Tatjana Larin. In secondo piano Olga, sorella di Tatjana, fidanzata con il poeta romantico Vladimir Lenskij, inseparabile amico di Onegin, finché non sarà costretto a sfidare il damerino a duello d’onore, perendo.

In un palcoscenico sviluppato in larghezza, privo di profondità, si distende un tipico appartamento russo d’inizio Ottocento, affollato di letti, divani, scrivanie e una libreria ricolma di libri. In questo scenario entrano, uno dopo l’altro seguendo il filo del racconto, due donne e quattro uomini in abiti contemporanei, interpretando e narrando in terza persona il proprio personaggio, intervallando storia vera e romanzo.

Tra essi spicca la figura di Puskin, che sulla scena ha le parvenze e le movenze di un orangotango, come dice lo stesso attore «era bruttissimo Puskin, lo paragonavano a una scimmia», ma tuttavia ebbe tantissime amanti «Puskin è andato a letto con 113 donne prima di chiedere la mano di sua moglie», cominciando a enumerare le prede da catalogo dongiovannesco.

Al centro della parete è appeso un piccolo ritratto dell’autore, sporadicamente illuminato da un raggio di luce. Sullo sfondo superiore della scena una vasta iconografia di volti e di luoghi scorre lenta, divenendo parte integrante della drammaturgia.

Il regista lettone e la sua compagnia di attori del New Riga Theatre, ci offrono un originale viaggio attorno al testo di Puskin, frapponendo osservazioni storiche, critiche, chiose, veri e propri galatei delle buone maniere dell’aristocrazia russa del XIX secolo. Si entra così nei Commentaries del titolo. Il racconto di un periodo storico, attraverso piacevoli aneddoti, duelli, usi e costumi, punto di contatto con la cultura russa all’epoca di Puskin, così lontana da noi, quanto piacevole da ascoltare.

Una cultura dove l’onore valeva più della vita, e lo sfidarsi a duello con tutte le sue regole, era così sovente che ogni aristocratico possedeva una valigetta con due pistole pronte all’uso: una specie di “fai da te” per irascibili duellanti.

Il tema del duello accompagna in sordina tutta la pièce, intrecciando la vita reale di Puskin e quella di Onegin, tra i commenti critici del semiologo Jurij Lotman e il suo romanzo, fino al duello di Onegin con Lenskij: preannuncio di quello in cui verrà ucciso lo stesso Puskin.

Ogni accenno al romanzo, con i versi di Puskin recitati in russo ed il resto in lingua lettone, dà adito ad una digressione culturale, facendo scoprire agli spettatori bizzarre abitudini, come quella dell’aristocrazia di non lavarsi mai perché convinti che danneggiasse la salute, mentre i dandy come Onegin passavano oltre tre ore al giorno di fronte allo specchio a pettinarsi e rimirarsi, e portando sotto le vesti un corpetto per affinare il girovita. Mode femminile dell’epoca invece erano il pallore, le parrucche con lunghe trecce, leggere i romanzi rosa de “La biblioteca delle donne”, accusare spasimi d’amore e svenimenti, gesto così diffuso da affinarne la tecnica per cadere nel modo più elegante.

Alvis Hermanis che negli anni ha presentato al VIE Festival spettacoli come By Gorky, Sonja, Kapusvetki – Graveyard party e Le Signorine di Wilko, persuade ancora una volta il pubblico, con l’arte del teatro del racconto accostata al romanzo, mantenendo ben salda l’esposizione a discapito di sorprese ed emozioni molto al disotto dei suoi primi capolavori.

Dietro il romanzo emerge così la storia della Russia, resa coinvolgente da un ottimo cast di attori e grazie anche alla traduzione simultanea in cuffia, messa a punto dal Teatro Storchi, che ne ha facilitato la comprensione senza perdere d’occhio l’azione, come di solito avviene con i sopratitoli.

Con un’azione scenica molto compressa e ridotta, Hermanis si rivela maestro della narrazione, passando da una voce all’altra, da un personaggio del romanzo ad uno storico, dalla prima alla terza persona, con estrema naturalezza e forte impatto stilistico innesta i commenti al racconto, creando un mosaico che incastona la storia di Onegin all’interno di quella della Russia, e viceversa.

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