
[rating=5] Quotidianamente siamo immersi nella complessità di un mondo rumoroso e caotico, i cui ritmi fagocitano le nostre energie, bandendo immaginazione e riflessione. Ogni tanto, rompere questi schemi fa bene all’anima e al corpo. Capita raramente, ma nel caso di Mummenschanz è l’eccezione che conferma la regola.
Fondata a Parigi nel 1972 da Bernie Schürch e Andres Bossard, in collaborazione con Floriana Frassetto, la compagnia Mummenschanz, in oltre quarant’anni di attività nei più importanti teatri di tutto il mondo, perfino Broadway, ha dato vita ad una forma d’arte che attinge direttamente dal teatro di figura, mimo e danza, dando corpo ad un linguaggio fascinoso ed affascinate, che si fa altro da tutto ciò che lo precede e segue.
Il Teatro è in questo caso il Verdi di Firenze, il pubblico non è particolarmente numeroso, forse in seguito al dramma di Parigi, la percentuale di bambini è alta. Le luci si abbassano, un silenzio carico di attesa scende sulla platea, la magia ha inizio.
Figure scomposte prendono vita, animano invisibili giganti, danno corpo ad esseri proteiformi, creano dalla semplicità di punti e linee la complessità di esseri fantastici, mentre i nostri sguardi tornano pascolianamente ‘fanciullini’. Ed il segreto è proprio lì: esser capaci di perdere quella frenesia tutta adulta e riscoprire lo stupore del bambino.
Così si ride per gesti quotidiani come un saluto, l’attesa di un gioco, un pallone immenso che rotola sulle nostre teste, un tubo che si anima alla Pixar, rotoli di carta igienica trasformati in lacrime e baci, teli che plasmano visi buffi per quindi prendere il volo come gabbiani, echi de La Linea di Cavandoli per volti gravidi di emozioni, maschere di gomma, occhi e bocche scomposte un po’ picassiani che danno origine a titani.
Il tutto nell’incanto di una Fantasia disneyana rigorosamente in silenzio, perché loro sono i Virtuosen der Stille, i Musicisti del Silenzio, la cui magica partitura ci ristora da quell’inquinamento acustico a cui siamo sottoposti tutti giorni, per riscoprire quella bellezza insita nei 4’33’’ di John Cage portati a 80 minuti che ci assorbono totalmente, grandi e, stupore, bambini.
Il risultato è una composizione la cui meraviglia trae nutrimento assoluto dalla filosofia musicale del “Punto, linea, superficie” di Kandinskij, per uno spettacolo ancora capace di farci stupire. Un lungo sogno ad occhi aperti.