
Chi di noi non ha mai desiderato ammazzare qualcuno, o un nemico mortale? Questa è la catarsi della tragedia, secondo antica tradizione, nella conversazione di Franco Branciaroli a cura di Luca Doninelli. Una scena a spalti e gradoni e diversi livelli, dal terreno tre loschi figuri, ora uomini, ora donne con un linguaggio anglosassone difficilmente comprensibile, aprono la scena. Le sorelle fatali come me le chiama Banquo si dissolvono come il vento all’aria, sono in scena quando irrompono egli stesso e Macbeth. Quest’ultimo è predestinato al trono, ma non ha meno possibilità il primo nelle parole delle streghe.

Ma il re di Scozia, Duncan sgombra ogni dubbio e nomina suo erede il figlio Malcolm. E Macbeth e le sue ombre di morte, il grande attore Franco Branciaroli, riempie la scena con il suo monologo sulla pietà, che prostra e butta al tappeto, chi nell’animo è prigioniero di ombre e fantasmi. Incontra in quel mentre Lady Macbeth, vestita di rosso sangue-pesto come una sacerdotessa di morte. Beve al calice offertole dal Re stesso, in un gracchiare di corvi un filtro di avvicinamento agli spiriti della morte e rassicura il suo consorte nell’affidarsi a lei che penserà a tutto. Ella, la sua magia, i suoi filtri faranno della notte un eccidio di sangue e dolore.
In una dinamica molto veloce nel quale non sarà possibile ragionare o progettare, presi nel sonno da sonniferi pesanti e letali, il tempo e la magia sono i protagonisti nel “Macbeth” di Franco Branciaroli, nella medesima conversazione. La stessa pozione, una spada insanguinata faranno del protagonista una serpe strisciante tra gli spalti della scena fino all’eccidio, epilogo del dramma, e all’arrivo di Macduff, in un perfetto alchemico di droghe, morte e sangue che rendono problematico e affascinante la tragedia del Re di Scozia.
Il predestinato al trono Malcom, scoperta il tradimento e il sangue della sua progenie, fugge. L’ostentazione di dolore falso si mostra continuamente al giorno d’oggi tra parenti e amici. A questo grido meglio andare altrove e restano in scena Macbeth e Lady Macbeth oramai reali entrambi in cappe del medesimo rosso con stole abbigliate a mo’ di mantelline color giallo ocra. Molto belli i costumi nella fattura, elaborazione e funzionalità scenica di Gianluca Sbicca. Tutti sono morti nelle tenebre, ma Banquo e il giovane figlio, Fleance, erano usciti per una cavalcata quella sera stessa. E’ demandato il loro fatale destino a due sicari assoldati appositamente da Macbeth. Ma il figlio resta in vita. Questo crea ulteriore terrore e ansia nel protagonista debole per le ripercussioni inevitabili per il male arrecato.
Il fantasma di Banquo tormenta il re e le mani sporche di sangue della lady che non riescono a pulirsi, compiranno il destino al cospetto delle donne fatali o erinni di cotanta tragedia greca. In un allestimento scenico molto interessante quello di Margherita Palli, tutto quinte che salgono e scendono, nell’adattamento del regista Franco Branciatroli, simbolico e sensazionale, più drammaturgico che scenico, e al cospetto del bravissimo Tommaso Cardarelli nei panni di Macduff, con la testa di Macbeth, appena decapitato, in mano e il grido “Viva il re di Scozia” si chiude il sipario.