L’opera da tre soldi | Brecht e Strehler secondo Damiano Michieletto

[rating=3] Era il 10 febbraio 1956 quando Bertolt Brecht giunse a Milano per assistere alla trasposizione teatrale di uno dei suoi testi più celebri: si trattava de L’opera da tre soldi messa in scena per la prima volta in Italia da Giorgio Strehler al Piccolo Teatro. Trasposizione che colpì talmente tanto il drammaturgo tedesco da convincerlo ad affidare al trentacinquenne Strehler tutti i suoi scritti. Ma la storia milanese dell’Opera non finisce nel lontano 1956, visto che nel 1973 il regista triestino allestì una seconda, memorabile edizione con un cast stellare che annoverava tra i protagonisti Domenico Modugno, Milva, Giulia Lazzarini e Gianrico Tedeschi. Ed è proprio con questa ingombrante edizione che deve fare i conti il nuovo allestimento de L’opera da tre soldi in scena fino al 12 giugno al Piccolo Teatro di Milano. Non a caso i principali mugugni che si leggono in giro vertono soprattutto su quanto l’edizione curata da Damiano Michieletto non sia all’altezza di quella storica edizione.

Purtroppo simili paragoni mi son preclusi, dato che all’epoca non ero nemmeno nato, ma di certo qualcosa che non funziona in questo nuovo allestimento c’è, complice anche un cast composto da attori che cantano pur non essendo il loro mestiere. Grosso limite questo per un testo così sui generis come L’opera da tre soldi in cui il cantato riveste un ruolo molto importante ed è parte integrante della narrazione. Chi ovviamente risulta più convincente sul fronte canterino è il Peachum di Peppe Servillo, artista che non a caso nasce come cantante per poi reinventarsi attore, ruolo in cui, invece, convince molto meno. Insomma, a ciascuno il suo mestiere.

Per quanto riguarda la narrazione, Michieletto sceglie di puntare sul flashback, facendo ripercorrere ai personaggi le vicende che hanno portato alla sentenza di impiccagione dello scaltro Mackie Messer (Marco Foschi), vicende riproposte all’interno di una gabbia di ferro, sotto l’occhio vigile dei giudici che hanno condannato a morte il protagonista. Tuttavia tale scelta ha delle conseguenze sul fronte della dinamicità della rappresentazione che è letteralmente ingabbiata, costringendo lo spettatore ad immaginare i luoghi in cui le scene si son svolte realmente:non il massimo per uno spettacolo che dura più di 3 ore.

Menzione a parte merita poi la cosidetta processione degli straccioni, in cui Michieletto sostituisce i mendicanti con migranti rivestiti da giubotti-salvagente arancioni: scelta che più che una denuncia è sembrata una strizzatina d’occhio al politicamente corretto. Un atto dovuto insomma, che di brechtiano ha ben poco.

Nessun rilievo, invece, si può muovere al comparto musicale, affidato alla sapiente bacchetta di Giuseppe Grazioli e all’Orchestra Sinfonica Giuseppe Verdi, capaci di dare nuova vita alla partitura pensata da Kurt Weil nel 1928.

Nonostante alcune scelte registiche discutibili, lo spettacolo ha però l’ indubbio pregio di riportare sul palcoscenico un’opera complessa ed iconica, più citata per sentito dire che conosciuta,  regalando al pubblico in sala un assaggio di quello che era la corrosiva poetica del drammaturgo “con le valigie sempre pronte” per sfuggire ai suoi tanti detrattori.

L'opera da tre soldi

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