L’invenzione della solitudine nella mirabile l’interpretazione di Battiston

[rating=5] Brillante adattamento drammaturgico di un classico della produzione artistica di Auster; nonché  opera feticcio. L’invenzione della solitudine è il romanzo, scritto nel 1979,   per esorcizzare i  primi angosciosi anni trascorsi fra una madre depressa ed un padre  distante e profondamente anaffettivo.  Il decesso del padre – annunciato in una grigia domenica mattina –  le rituali operazioni di sgombero diventano, per lo scrittore,  l’occasione unica di fare pace con i propri demoni.

Fare i conti col passato. Ricordi e amare riflessioni per un giovane uomo  impegnato a fare i conti col proprio passato. La vita artistica e  privata di Auster  uomo/ autore, da sempre, è stata segnata da un carico di dolorosi ricordi e speranze tradite: la spasmodica attesa di un gesto, o parola, che portasse con sé una scintilla di amore e trasformasse  la vita del giovane Paul. Ogni traguardo, le lauree, i libri scritti, la nascita del nipote Daniel diventa, per il figlio “non  troppo amato”, un tentativo di fermare, anche se per un solo attimo, la fuga di questo padre evanescente.

La regia traccia con precisione quasi chirurgica squarci profondi e indelebili nell’animo dello scrittore: ogni resoconto di questa infanzia di “cartone”  è una ferita tutt’ora insanabile. Ogni movimento in scena tradisce  l’ impossibile quanto affannosa ricerca di resti fisici a cui aggrapparsi. Il tentativo di riordino degli oggetti diventa il pretesto per aprire capitoli dimenticati della propria esistenza  Particolarmente carica di pathos risulta la parte incentrata sul  rapporto di Auster col figlio Daniel: semplicemente commovente  il racconto della riscoperta del ruolo di padre attraverso la malattia e la guarigione del figlio.

Il racconto è scritto. Il racconto del padre assente e invisibile si materializza nella mente del “figlio”  e ancor più importante emerge una riflessione per il futuro: ESISTERE…

L'invenzione della solitudine

Dalla pagina scritta alla scena. Mirabile l’interpretazione di Battiston: lo  stile sobrio ed equilibrato e l’impeccabile presenza scenica esaltano lo stile  narrativo della regia di Giorgio Gallione.  Perfetto parallelismo fra  messa in scena e la prosa “poeticamente brutale” dello scrittore. Lo studio  delle scene, a cura di Guido Fiorato, è intrinsecamente connesso allo stile letterario del romanzo. La riflessione di uno spazio scenico  “in espansione” riesce a rendere la fisicità dei resti umani che riempiono lo spazio  dell’abitazione vuota  e al contempo  l’apertura “ideale” verso l’esterno:  un altrove  pronto a rivelarsi attraverso  il racconto di Paul Auster, per poi tornare ad un angoscioso vuoto.

La percezione spaziale è moltiplicata e distorta:  specchiarsi e trovarsi “chiusi” in un grottesco e frustrante  grand’angolo… in fondo la via dei ricordi è solo un Cul – De – Sac . Pieno consenso di pubblico per uno spettacolo che ha il merito di affinare  anche il gusto letterario del pubblico milanese.

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