
[rating=2] Contemporaneafestival Prato è dedicato agli spettacoli del nostro tempo. L’edizione 2015 ha ospitato anche La beatitudine, della compagnia pugliese Fibre Parallele, regia e ideazione di Licia Lanera e Riccardo Spagnulo.
Un inizio straziante – con un monologo della stessa Lanera su una tragica interruzione di gravidanza – fa pensare a un dramma psicanalitico, una lente d’ingrandimento sul conflitto tra predestinazione fisiologica e società. Lo spettacolo prosegue tuttavia in modo oseremmo dire nervoso, a scatti, costruito su dialoghi estrapolati dal quotidiano più volgare.
La storia è fuori dal regno delle probabilità e delle possibilità. Se sia ispirata all’esperienza autobiografica degli autori, non lo sappiamo e non è da escludere, se non fosse per alcuni dettagli.
Licia convive con un bambolotto di plastica, a cui vuol bene come fosse il figlio che non ha mai avuto; una settantanovenne (la capace Lucia Zotti), asfissiante madre dell’amante di Licia (un ragazzo sulla sedia a rotelle alla ricerca dell’edonismo perduto, interpretato efficacemente da Danilo Giuva), finisce tra le braccia del giovane Riccardo (Riccardo Spagnulo), frustrato marito di Licia.
I personaggi hanno lo stesso nome degli attori e tengono a precisare, ogni volta che si presentano al pubblico, il loro segno zodiacale, dettaglio ripetitivo, quasi rituale. Come la presenza del mago e chiromante di paese, il bravo Nino Dicataldo, che a intervalli parla al microfono di visioni di futuro, invenzioni kitsch da quattro soldi per anime infelici e confuse. Il Sud Italia emerge come un luogo di cicoria bollita, pulsioni da far scoppiare e, allo stesso tempo, salotto borghese. La scenografia elegante, prostrata è, forse, l’unico elemento scenico sinceramente simbolico, evocativo; una scatola nera dove disintegrarsi e cambiare contorni.
La scrittura si rivela un intreccio senza inizio e senza fine, dove predomina il massiccio intento di inculcare nella testa dello spettatore la guerra dei sensi, il sesso come grande interferenza, e calamità della vita. La sensazione finale risulta essere fastidiosa, come il rumore dei piatti che continuamente vengono lanciati a terra dagli attori. L’universo musicale spazia dall’intrigante e amplificato rumore di un cavo avvicinato alle casse, a Rino Gaetano, alla musica indie, in un salto sgraziato. La beatitudine sembra essere raggiunta, infine, e apparentemente, solo dai personaggi.
grazie tessa,
condivido la tua opinione, fuori dai denti devo dire che ‘la beatitudine’ e’ uno spettacolo presuntuoso e irmbarazzante, a tratti ho avuto la sensazione di partecipare ad una commedia dialettale travestita da teatro impegnato. La vicenda abusa degli gli ingredienti tipici del teatro di Emma Dante, ma qui siamo lontanissimi dalla tragedia e assai vicino alla farsa.
Il tuo commento acuto, Davide, mi regala ulteriori riflessioni, oltre alla piccola certezza di aver tradotto (con i miei mezzi) anche il pensiero del pubblico. E la farsa, che ha una sua dignità, non è riuscita a fare capolino. Grazie del tuo intervento,
Tessa