Leviatano, limoni e filosofia: la parabola di un genio della stupidità

La rapina più folle della storia raccontata da Riccardo Tabilio al Teatro Trastevere

Gioele Rotini, Stefano Patti e Diego Migeni in "Leviatano" in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 24 aprile al 5 maggio 2024.
Gioele Rotini, Stefano Patti e Diego Migeni in "Leviatano" in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 24 aprile al 5 maggio 2024.

Solo qualche giorno fa Paul Auster ha lasciato questa terra. Uno fra i più grandi scrittori del nostro tempo. Autore di romanzi indimenticabili, fra i quali Mr. Vertigo, la Trilogia di New York, ma anche Leviatano. In questo testo dal ritmo serrato e stregante trova spazio la parabola umana di uno scrittore, reinventatosi tutto d’un tratto terrorista postmoderno. L’obiettivo folle è quello di far saltare in aria tutte le copie della statua della libertà. Nel libro il Leviatano, orrorifica creatura biblica dei mari, massima espressione del caos, è inteso nella chiave di Hobbes, come Stato-mostro.

La trama in realtà è molto più intricata e complessa di questa mia banalizzazione a scopo esplicativo, ma quel che conta è la suggestione, a tratti allucinata, di quanto sia malleabile l’essere umano. Preda del mondo esterno, ma soprattutto di sé stesso, del modo in cui decide di distorcerlo, spezzettarlo, interpretarlo, al solo scopo di comprenderlo, padroneggiarlo e quindi viverlo. Come Archie di 4321 altro testo memorabile di Auster.

Alla base di questa “padronanza”, esercizio di dominio, o presunto tale, sulla realtà, c’è una speculazione scientifica nata nel 1995 in seno alla Cornell University. Mutuando forse inconsciamente le quattro “leggi della stupidità” enunciate dall’economista Carlo Cipolla negli anni settanta, gli psicologi David Dunning e Justin Kruger pubblicarono uno studio in cui si indagava proprio il cortocircuito innescato nella mente quando l’essere umano si ritiene molto o poco competente in qualcosa. I risultati furono tanto scioccanti quanto evidenti: i soggetti che si erano autodefiniti “molto competenti” nelle tre aree proposte (grammatica, ragionamento logico e umorismo) avevano ottenuto le valutazioni peggiori, al contrario quelli che invece si erano sottovalutati, vantavano punteggi alti.

La ricerca nasceva in realtà da un fatto di cronaca semplicemente assurdo. Proprio nel 1995 l’anno di Windows, della fine della guerra in Jugoslavia, dei sei Oscar a Forrest Gump, un perfetto sconosciuto, anonimo cittadino di Pittsburgh, decide di rapinare una banca in pieno giorno, a volto scoperto, diventando il ricercato numero uno dello stato. È dalla ridicola impresa di quest’uomo che prende le mosse anche Leviatano, lo spettacolo scritto da Riccardo Tabilio, in scena al Teatro Trastevere di Roma dal 24 aprile al 5 maggio 2024. La regia la firma l’attore Alessandro De Feo, che orchestra con ritmo perfetto lo spettacolo, dichiarandolo fintamente come “docu-teatro”.

Non si tratta in realtà di una vera forma documentaristica, che gli stessi interpreti descrivono come al limite dell'”impossibile” in ambito scenico, ma un ibrido fra metateatro e sketch. Il tutto sul filo della stand-up, senza però caderci dentro. La quarta parete si rompe, si salta qui e lì temporalmente e ogni tanto giova l’aiuto descrittivo degli attori, che però non risulta mai didascalico. È un esperimento interessante, nient’affatto prolisso, ma vibrante e ricco di coinvolgimento. Non è un caso allora che nella triade di interpreti ci sia Diego Migeni, più volte apprezzato nelle performance itineranti della Città Ideale.

Una scena di "Leviatano" di Riccardo Tabilio.
Una scena di “Leviatano” di Riccardo Tabilio. (Foto Claudio Giuli)

In Leviatano veste i panni di Ronald Freeman che, tecnicamente sarebbe un detective afroamericano, mentre lui ha la portanza e la cadenza tipicamente romana, ma poco importa, è tutto credibile entro i limiti del patto di sospensione di incredulità. Non sono da meno gli altri due compagni di palco: Stefano Patti nel ruolo del tesista Justin Kruger, forse defraudato della totale paternità sullo studio psicologico e Gioele Rotini, la cui irresistibile verve comica si plasma sul personaggio del prof. Dunning e del “testimone”.

Sono personaggi di grande carisma, ma sono pure Diego, Stefano e Gioele, attori, che commentano e descrivono il racconto, mentre lo teatralizzano. Il mix è a dir poco riuscitissimo. La regia è calibrata al millimetro e senza sbavature, il gioco di luci accompagna lo stacco sketchistico senza renderlo meccanico e cosa ancora più interessante, forse in omaggio allo stile di Paul Auster nel romanzo Leviatano, il protagonista non c’è. O meglio come in Giulio Cesare che pure dà il nome al dramma shakespeariano, non è mai in scena, anche se di fatto si parla solo di lui.

Così l’autore dello spettacolo, Riccardo Tabilio, non offre una scontata visione in prima persona, ma lascia che siano gli altri a raccontare l’uomo al centro della narrazione. Scelta azzeccata all’interno di un costrutto drammaturgico che si presta peraltro allo “smontaggio” e rimontaggio dei pezzi, a favore di sentire registico-attoriali di vario respiro. Una capacità di scrittura rara, molto prismatica e straordinariamente fuggiasca da esposizioni di ego.

Già ma chi è quest’uomo al centro della scena? Protagonista assente eppure miccia esplosiva di eventi che ancora oggi in qualche modo ne celebrano la geniale ottusità? Un quarantenne decisamente poco atletico della Pennsylvania, tal McArthur Wheeler, che dopo aver appreso in che modo l’inchiostro simpatico poteva “scomparire” con del succo di limone, decide che quello sarà il suo destino. Ignorando bellamente il principio di cristallizzazione degli zuccheri presenti nel giallo agrume, così prospero dalle parti del sud Italia, ci si cosparge la faccia e si scatta un selfie con una polaroid.

E cosa c’entra la rapina? E il test Dunning-Kruger? Sebbene sia difficile resistere alla tentazione di raccontare in che modo questo piccolo ridicolo eroe dell'”invisibilità” abbia avuto i suoi cinque minuti di gloria mondiale, non lo farò. Cercate questo spettacolo nei cartelloni e andatelo a vedere.