
Ogni rivincita può nascere solo da una sconfitta. Ci si rialza dopo esser caduti, mai abbattersi, ne arrendersi. Vincenzo, il personaggio de La Rivincita di Michele Santeramo portato in scena al Teatro Era di Pontedera, sa bene che sapore ha la sconfitta, quella di una vita andata a rotoli senza riuscire a districare il bandolo della matassa, che a poco a poco si trasforma in fune e infine in forca.
Un dramma contemporaneo, la storia di Vincenzo, contadino meridionale, che si ritrova a fare i conti con la “porca miseria”. Nel dubbio di perdere il terreno per esproprio, spinge la moglie ad abortire, ma la rinuncia contro natura si rivelerà catastrofica. Scoperta la sua sterilità a causa dei veleni utilizzati per la terra, inizia una parabola senza ritorno tra debiti, strozzini e avvocati senza scrupolo per riottenere quel figlio un tempo rifiutato, fino al baratro di un figlio illegittimo, nato dalla disperata relazione tra la moglie e suo fratello. Solo dopo aver perso tutto, persino la possibilità del suicidio “Se la vita è una merda, mica te la fanno finire gratis” finalmente la svolta: Vincenzo e il fratello Sabino investono in semi biologici, riuscendo a riscattarsi, seppur amaramente.
C’è poco da ridere nel racconto di Michele Santeramo, che ci arriva come uno schiaffo in faccia, rabbrividendoci e riportandoci all’amara realtà odierna del nostro Paese. Una realtà fin troppo vera e vicina, culminata a causa della crisi, pochi giorni fa, nel suicidio dei coniugi di Civitanova.
Un racconto dove il bisogno primario non lascia spazio al desiderio, una lotta per la sopravvivenza che volge in positivo per imprimere un segnale di necessario ottimismo. C’è bisogno di non arrendersi, come Vincenzo. “Mai ti devi rassegnare, Vince’!” lo esorta il fratello Sabino, per uscire da quella porca miseria, così chiamata “perché la miseria fa veramente schifo!”.
Nel testo di Santeramo, scritto con equilibrio amalgamando argomenti seri e toccanti con punte di leggero umorismo, il teatro ritrova la funzione di momento di impulso e di riflessione.
La compagnia del Teatro Minimo di Andria, sotto la sintetica regia di Leo Muscato porta in scena dei personaggi reali con tutti i connotati, che sbucano a ritmo serrato a rotazione da dietro due pannelli bassi sul fondo, per poi tornare a nascondervisi a ogni cambio scena. Una ripetizione, un po’ “telefonata”, che la velocità del ritmo e i cambi di ambientazione riescono a tamponare, accompagnando lo spettatore lungo una narrazione che non trova ulteriori ostacoli.
La rivincita, quella della vita di Vincenzo, sulla scena giunge molto fugacemente per pretendere di togliere l’amaro di bocca lasciato dagli sfaceli precedenti. Una scena che necessitava di ulteriore respiro e profondità interpretativa, per trasmettere in pieno il senso del riscatto. La pièce ci lascia invece un profondo sgomento, consci che un vaso rotto benché incollato, rimane pur sempre rotto.
Una storia che avvinghia e percuote, ogni giorno più terribilmente vicina a noi. Ambiente, diritti e dignità ci impongono una riflessione sulla necessità impellente di una rivincita morale e concreta, ad opera di un Paese che negli anni ha saputo produrre solo una turpe “porca miseria”.