Calde le pere Bologna del sesso, dei delitti e dei casini

[rating=4] Giorgio Comaschi, giornalista, attore televisivo e teatrale, prima dell’inizio dello spettacolo è già in platea a salutare persone e a stringere mani. La platea lo riconosce e lo coccola come si farebbe con un caro vecchio amico: nonostante i suoi spettacoli teatrali in Australia, Canada e Stati Uniti, due terzi dei suoi libri parlano di Bologna, la città dove è nato e che gli rimarrà sempre nel cuore. Inizia dal pubblico, come “uno di noi”, come confermerà successivamente nell’interessante articolo sul suo sito internet, la sua pièce “Calde le pere Bologna del sesso, dei delitti e dei casini”, davanti ad un Duse pieno e in trepidante attesa. L’emozione trasuda fin dalle sue parole iniziali per poi “essere amministrata” dall’attore teatrale che prende piede, coadiuvato dal grande lavoro di ricerca storica e di costume che sta alla base di questo interessante spettacolo.

La tematica della prostituzione a Bologna negli anni precedenti alla legge Merlin del 1958, che bandì le case chiuse in Italia, ovviamente incuriosisce anche perché viene analizzata con tecnica giornalistica in modo molto intelligente, ben contestualizzata sia cronologicamente sia culturalmente. Negli anni ’30 non c’erano ancora riviste e film porno, quindi la curiosità su questi argomenti ritenuti tabù aveva un solo modo per essere soddisfatta: andare al casino. Soltanto in questo luogo “magico” si potevano avere le risposte ai dubbi più strani, sia dei giovani (durante un bacio alla francese “ dove si mettono i nasi?!”) ma anche dei genitori, che aspettavano la maggiore età dei figli per assicurarsi, dopo una capatina in una casa chiusa, che il figlio non fosse busone, cioè omosessuale.

Ciò che con la legge Merlin ora viene consumato in semiclandestinità, in strade buie o di passaggio, allora avveniva in un luogo ben delimitato e chiaro, verrebbe da dire “alla luce del sole” anche se in una casa con le finestre sempre chiuse la luce era per forza artificiale e l’odore forse non dei migliori (“una puzza di dromedario…”). I molti aneddoti raccontati da Comaschi ci mostrano in modo molto colorito la vita in un bordello: la maitresse smistava il traffico di clienti e soprattutto allontanava chi, seduto con il “cappotto tenuto sulle ginocchia, con movimenti non congrui”, diciamo che era lì per godere della merce esposta senza acquistarla. In questi casi ella sfoderava un flit profumato con il quale bersagliava i clienti che poi potevano avere qualche difficoltà, una volta rientrati a casa, a spiegare alle mogli tale odore sui vestiti. Le marchette, cioè il pagamento della prestazione alla prostituta, durava dieci minuti e se si superava questo tempo si incorreva nella “doppia”, ufficialmente sottolineata da un cicalino alla reception che aiutava la maitresse a regolarsi con i conti. Tale avvertimento aveva una funzione anche psicologica, “la camera 7 fa la doppia!” rendeva pubblico che il cliente possedeva una grande prestanza fisica, se a tal scopo non fossero bastati i commenti “stavolta mi hai distrutto” della prostituta stessa. Per questo motivo uno dei pensieri assillanti dei clienti abituali o spilorci era “tenere il tempo della prostituta”… Se poi i dubbi sulle prestazioni sessuali erano leciti, interveniva la Celsa, una specie di chiromante che, con la lettura delle carte e l’individuazione del malocchio, curava la “malattia” avvalendosi dell’aiuto anche di una sua assistente… “del mestiere”. Poi c’erano i militari, “velocissimi” anche perché la maitresse proibiva il contraccettivo in quanto “ritardante”, che si riversavano nei casini tutti insieme nei pochi giorni di licenza, motivo per cui le lavoranti avevano bisogno di qualche impacco di acqua fredda a fine giornata per calmare i bollenti spiriti… Carina la storia della prostituta che era solita mostrare il suo fondoschiena, dato che era vietato dalla polizia esibire pubblicamente il “lato A”, ai clienti seduti sul divano dietro a lei, che poi redarguiva dicendo loro: “se mi dovessi addormentare mettete i soldi sulla scranna (sedia)!”.

Molto divertenti i motti con i quali le prostitute si autopromuovevano: si va da “calde le pere” che da il titolo allo spettacolo, alla sibillina domanda “Serve niente che non hai già in casa?” che una prostituta faceva sotto i portici di Bologna ai passanti, fino ad arrivare, per una di loro un po’ avanti con gli anni, ai “grandi ribassi di mezzanotte!”.

Tutti questi aneddoti mostrano uno spaccato della società dell’epoca oltre a presentarci un mestiere come non siamo più abituati a vedere: le prostitute erano protette e controllate e fungevano da intrattenitrici ma anche da psicologhe, consulenti e, per certe cose, sostituivano i dottori. I racconti di Comaschi si intervallano a quelli di Marta Mondelli che, nei panni di una di loro, ci racconta la vita quotidiana, il perché una donna si ritrovava o sceglieva di fare questo lavoro e come esso non fosse degradante come siamo abituati a considerarlo oggi. Le prostitute vengono dipinte come utili, con una propria funzione sociale e dignità, si muovono in un mondo ovattato, pieno di motti di spirito, di apparente divertimento e di sicurezza, sono tutte dei dintorni di Bologna e quasi tutte amano il proprio lavoro: tutto ciò sembra molto distante da ciò che vediamo oggi, e il dubbio che anche allora non fosse tutto così “rose e fiori” viene.

Uno spettacolo davvero ben fatto, strutturato bene e molto curato anche nelle musiche e nelle foto che vengono proiettate: non stupisce quindi il 100% di preferenze del pubblico rilevato dal teatro Duse (il sondaggio sfrutta un cartoncino fornito ad ogni persona del pubblico, che alla fine dello spettacolo può essere inserito in due urne, una con scritto “non mi è piaciuto” e l’altra con “mi è piaciuto”)

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