La lucida follia dell’Enrico IV di Franco Branciaroli

[rating=4] Franco Branciaroli si misura per la prima volta nella sua brillante carriera con un testo di Luigi Pirandello, mettendo in scena l’Enrico IV dopo quasi un secolo dalla sua stesura; lo spettacolo è in scena dal 10 al 15 novembre al Teatro Bellini di Napoli accompagnato dalle scenografie di Margherita Palli e dalle luci di Gigi Saccomandi.

Il testo, nato nel 1921, e pensato per il famoso attore dell’epoca Ruggero Ruggeri, rientra nella serie delle raffigurazioni della follia che Pirandello, attento alla psicanalisi e alla psichiatria, ama indagare e scardinare dai luoghi comuni. Il folle pirandelliano si rivela sempre essere alla fine il più savio e consapevole dell’artificio quotidiano che ognuno di noi mette in atto nella vita di tutti giorni ed il protagonista dell’Enrico IV porta alle estreme conseguenze questo ragionamento e decide di scegliere da sé la maschera da voler indossare.

Tutto nasce a seguito di una cavalcata in maschera organizzata da un gruppo di amici, per l’occasione ognuno ha dovuto vestire i panni di un personaggio storico (re, imperatore o principe che fosse) e l’eroe pirandelliano, di cui mai sarà svelato il nome, si è travestito da re Enrico IV; cadendo da cavallo l’uomo però ha sbattuto la testa e al suo risveglio è convinto di essere davvero l’antico re vissuto novecento anni prima.

Franco Branciaroli in Enrico IV

Per i vent’anni successivi la famiglia lo asseconda ricreando attorno a lui l’ambientazione dell’epoca, vestendo abiti del Mille e trattandolo da sovrano; un giorno però il nipote (Tommaso Cardarelli), a cui è stato affidato lo zio pazzo dalla madre in punto di morte, decide di sistemare la situazione e invita uno psichiatra (Antonio Zanoletti), la sua fidanzata (Valentina Violo) con la madre, la Marchesa Matilde Spina (Viola Pornaro), che è stata il primo amore dello zio e un suo amico di gioventù, il barone Tito Beleredi (Giorgio Lanza), presente alla cavalcata e amante della donna.

Entra in scena a questo punto uno superbo Franco Branciaroli nei panni di quest’uomo così lucidamente convinto della sua follia da risultare assolutamente credibile, il riso beffardo con cui lo pseudo-Enrico IV si rivolge ai poveri parenti afflitti dalla sua malattia appare all’inizio fastidioso e Branciaroli sa rimarcare bene questo stridore. Il primo atto si chiude tra i sospiri della marchesa, saccentemente convinta che l’uomo vedendola dopo vent’anni l’abbia riconosciuta e sia rinsavito, e il ghigno dell’amico/nemico Tito, che gode a vedere il suo rivale d’amore vecchio e logorato dalla pazzia.

Il secondo atto svela però la causa del suddetto stridore e perché quel pazzo più che pena suscita un po’ di fastidio: egli è rinsavito otto anni prima, una mattina ha aperto gli occhi e si è ricordato tutto, chi era realmente e chi aveva creduto di essere, in quei dodici anni vissuti in quell’eterno presente storico la vita intorno a lui però aveva continuato il suo corso, i suoi amici lo avevano deriso perché aveva perso il senno, la donna amata aveva iniziato una relazione col suo rivale e i suoi familiari l’avevano assecondato sempre più con fatica.

Tornare alla realtà sarebbe stata allora la vera pazzia e poi, chiede Pirandello attraverso Branciaroli, qual è la realtà? Non è forse vero che ognuno di noi riceve dagli altri, ogni giorno, un’etichetta, una maschera, per usare il lessico pirandelliano? Allora tanto vale scegliersela da sé una maschera che sarà meno falsa e meno asfissiante di quella attribuitaci dalla società.

Branciaroli, disarmante e toccante, segue le fila del ragionamento illuminato dai raggi della luna, incantando e convincendo il pubblico della sua assoluta lucidità di pensiero.

L’atto finale mostra l’inganno, toglie il velo di Maya che copriva una bugia portata avanti ormai da troppo ma lo fa lanciando un’accusa ben precisa a quei falsi e “buffoni” amici e parenti: è solo colpa loro se una menzogna è risultata un rifugio più sicuro e una dimensione più vera della realtà stessa.

Il teatro di Pirandello ha un dote particolare: sa essere leggero e scorrevole, ironico e divertente pur non diventando mai banale e celando sempre un mondo sotterrano di concettismo e filosofia che emerge sul finale con una prorompenza che lascia a bocca aperta e Branciaroli sa prendere sulle spalle questo gigante della letteratura e portarlo sul palcoscenico rendendogli pienamente onore.

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