
Risonanze di gocce e gorgoglii d’acqua introducono la tragedia di Otello di William Shakespeare, portato sulle scende del Fabbricone di Prato con la regia di Arturo Cirillo. Un testo che da sempre rimane il pupillo dei grandi attori ed ”esame di Stato” per quelli che grandi vogliono diventare.
L’Otello di Cirillo introduce interessanti elementi e fin da subito ce ne accorgiamo, a partire dal fatto che lo stesso regista/attore impersona Iago e non Otello.
Nella penombra di uno spazio scenico, disegnato da Dario Gessati, delimitato da due alti muri inclinati ruvidi e mobili, si sviluppa la trama come tutti sanno ordita dal perfido Iago ai danni del moro Otello, che egli odia. Sarà lo stesso Iago, impersonato egregiamente da Cirillo, a muovere e a stringere le pareti della scenografia, metafora della conduzione del gioco e della macchinazione. Iago è la forza motrice o catalizzatrice dietro a Otello; è il manipolatore che pianta i semi della malvagità nelle menti dei personaggi, giocando sulle loro emozioni e causando quindi la caduta di Otello. Il trucco nerofumo che inizialmente macchia solo a metà il viso del moro, và sciogliendosi nel corso della tragedia, parabola introspettiva della trasmutazione del suo animo.
Appare evidente che il moro non è il personaggio più degno di cure, cosicché per una volta un attore e regista affermato come Cirillo decide di interpretare la parte del sibillino macchinatore Iago, cosa che non era riuscita in passato a nomi del calibro di Gino Cervi, Renzo Ricci e Carmelo Bene, tutti legatesi alla collera distruttiva del generale Otello. In Iago invece c’è quell’ingegno che a Otello manca. Iago parla e Otello farfuglia. Iago ha pessimi sentimenti e Otello sentimenti irritanti. Iago ha il gusto della tragedia del vero e Otello non è che un “suo” personaggio.
Dallo spettacolo esce un eccellente lavoro sull’attore e sull’analisi del testo fatta dal regista formatosi alla scuola analitica di Carlo Cecchi.
Il testo tradotto in versi della poetessa Patrizia Cavalli, è il vero cardine e punto di forza della rappresentazione, tagliato di alcune parti marginali si concentra sui personaggi chiave della tragedia, ognuno di essi ben definito e con un carattere importante per lo sviluppo della vicenda. Una traduzione molto sintetica eppure ricca, di grande spessore, che porta pause, scansioni, ironia, nuovi pensieri e sorprendenti intonazioni ad un testo che sembrava stramaledettamente analizzato e conosciuto.
I costumi disegnati da Gianluca Falaschi vestono i personaggi in modo contemporaneo con tinte coloniali ed esotiche.
Cirillo ha diretto con molta cura e con grande impegno un cast di bravi attori, omogeneo e attento nella dizione e nell’interpretazione. Segnaliamo, accanto all’ottima prova già ricordata di Arturo Cirillo, nelle vesti di Otello un bravissimo Danilo Nigrelli capace di trasformare con gesti corporei e mimica facciale il buon generale moro in una furia di gelosia, e nei panni di Desdemona l’interpretazione veristica e delicata di Monica Piseddu.
Un’edizione dunque legata alla parola e alla verità, in una tragedia formidabile che ha soddisfatto l’attesa del pubblico in sala meritandosi tanti applausi.