
La stagione del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino si apre all’insegna di un titolo popolare e giocoso: il Don Pasquale di Gaetano Donizetti, che riesuma la consolidata regia del 2001 di Jonathan Miller e le scene ed i costumi di Isabella Bywater.
Il Don Pasquale è un’opera buffa in tre atti, il libretto firmato da Michele Accursi, è in realtà opera dello stesso Donizetti e di Giovanni Ruffini ed è ricalcato sul dramma giocoso di Angelo Anelli Ser Marcantonio, musicato da Stefano Pavesi nel 1810. Il ritmo serrato del testo e la giocosa teatralità lo rendono, operisticamente parlando, eccellente.
La prima rappresentazione dell’opera ebbe luogo al Thèatre-Italien di Parigi il 3 gennaio 1843 con un cast d’eccezione formato da Giulia Grisi (Norina), Luigi Lablache (Don Pasquale), Antonio Tamburini (Malatesta) e Mario (Ernesto).
Sulla scia del Barbiere di Siviglia di Rossini, Donizetti con quest’opera sublima il tipo umano e scenico del “vecchio celibatario tagliato all’antica, economo, credulone, ostinato, buon uomo in fondo”, che per far dispetto al nipote Ernesto, “giovane entusiasta, amante corrisposto di Norina”, a cui ha imposto un matrimonio che il giovane ha rifiutato per amore di Norina, decide di sposarsi e defraudare così il nipote. Interviene allora il Dottor Malatesta, “uomo di ripiego, faceto, intraprendente, medico”, che imbastisce la burla: sotto il falso nome di Sofronia, presenta Norina come propria sorella e la fa unire in finto matrimonio a Don Pasquale da Corneto. Ma la dolce e remissiva “Sofronia”, appena stipulato il contratto, si trasforma in una moglie impossibile, piena di capricci, spendacciona ed infedele, a tal punto che il vecchio furente, pur di disfarsene, sarà felice di darla in moglie al nipote che l’ha sempre amata.
L’intreccio fortunato del “dramma buffo” si lega qui in Donizetti ad una partitura di mirabile equilibrio ed interessante caratterizzazione dei personaggi, propri di un ambiente borghese e cittadino: si tratta di un’opera risultato d’esperienza e saggezza. La Sinfonia d’apertura perfettamente strutturata è costruita sui temi dei due innamorati: Ernesto e Norina. L’uno disegnato con la malinconica sortita del violoncello, all’introduzione, che fraseggia il tema dolente della serenata che tornerà nell’ultimo atto “Com’è gentil”. L’altro, l’astuta Norina, si presenta per mezzo di un tema scherzoso col quale poi ci svelerà la sua scaltrezza amorosa nell’aria “So anch’io la virtù magica”.
Interessante osservare l’originalità di quest’opera buffa che mostra toni spesso lirici e patetici: si pensi a tal proposito alla celebre aria di Ernesto nel secondo atto “Cercherò lontana terra”, dove il compositore erge la tromba a strumento solista struggente ed efficace. Ancora, la rottura comica si ha sul gesto dello schiaffo di Norina al povero marito, che si traduce poi in svolta elegiaca e melodrammatica, che rendono il Don Pasquale donizettiano una delle grandi figure comico-patetiche della storia del melodramma.
Sorprendentemente efficace la regia metateatrale di Jonathan Miller, che si avvale delle scene e dei costumi di Isabella Bywater: tutto è ambientato in una casa di bambole tedesca di fine Sei-primi Settecento, sviluppata su tre piani, minuziosamente ricostruita, brulicante di padroni e servi che animano il viavai quotidiano.
L’opera ha visto sul palco venerdì 14 gennaio Bruno de Simone nei panni di un mirabile Don Pasquale, comicamente buffo ora malinconicamente patetico, basso buffo dall’ottima e chiara linea vocale e dall’efficace presenza scenica; il baritono Fabio Capitanucci, un Dottor Malatesta dalla perfetta dizione, musicale e argutamente signorile; la soprano Cinzia Forte nelle vesti di una Norina maliziosa, piena di gusto e freschezza; meno efficace invece il tenoreMario Zeffiri, Ernesto sì malinconico ma troppo graffiante nella tessitura acuta.
Ben preparato il coro diretto da Piero Monti, meno presente e debole invece la direzione di Riccardo Frizza, seppur risollevata dall’ottimo cast e dall’ammirata Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino.