La Ballata di uomini e cani di Marco Paolini

Jack London scrittore per ragazzi? I pazzi siete voi!

[rating=3] ”No, non sono io l’attore, io sono il personaggio, vestito da Charlot, vestito da pinguino”: queste le parole pronunciate da Marco Paolini in frac e bombetta all’accendersi delle luci sul palco del Teatro Puccini di Firenze, a interrompere il boato dell’applauso di un pubblico numeroso, sufficiente a riempire l’intera struttura in una tiepida serata di giovedì, col padrone di casa Sergio Staino, beffardo Bobo, seduto in prima fila a omaggiare l’ambito ospite.

Il Paolini monologhista del teatro civile di narrazione che, dopo aver portato sugli schermi tv le tragedie del Vajont e di Ustica, si dedica a narrarci le storie di Jack London, cominciando con l’impersonarlo e col raccontarci in prima persona la sua infanzia a dir poco precoce, la prima sbornia a quattro anni, (”non è bello divertirsi alla spalle di un bevitore” ammonisce ironico rivolgendosi direttamente al pubblico delle prime file, cosa che farà spesso durante lo spettacolo), narrando le disavventure di una vita burrascosa e acerba, e il disappunto nell’apprendere che i suoi romanzi sono conosciuti come libri da ragazzi!

Con lui sul palco tre musicisti, parte integrante della narrazione: la chitarra e la voce di Lorenzo Monguzzi, il clarinetto di Angelo Baselli e la fisarmonica di Gianluca Casadei, con musiche originali composte per l’occasione.

Ispirandosi a ”Il richiamo della foresta” e a ”Zanna Bianca” si va a iniziare col primo racconto: Macchia”, il più comico, il più struggente dei tre , ambientato, come gli altri, in territori impervi e avventurosi, ai tempi della corsa all’oro, dell’Alaska e del fiume Yukon – noto ai più dai fumetti di di Paperon de’ Paperoni- col cane Macchia, più umano degli umani, capace di farsi voler bene anche da gente inaridita dalla miseria e dalla durezza della vita, ma sempre in grado di vedere l’ironia e la poesia in tutto, pure e soprattutto in quel cane, animale impermeabile a ogni bruttura del mondo e perciò stesso invincibile.

Si prosegue senza soluzione di continuità con ”Bastardo”, dal nome del cane protagonista del secondo racconto, ”nomen omen”, una storia di amore/odio tra un cane e l’uomo suo padrone, per finire con ”Preparare un fuoco” , forse il più famoso dei tre racconti, in cui l’uomo e l’animale condividono, ognuno dal suo punto di vista, l’avventura e il freddo e il gelo che uccide, con alla fine il colpo di scena che farà prendere un’intonazione diversa e sorprendente a tutto lo spettacolo.

Sono storie di sbandati alla ricerca di fortuna nel grande nord della corsa all’oro, di avventurieri pronti a tutto pur di avere qualcosa da raggiungere; l’uomo col suo migliore amico, il cane, protagonisti nella natura più selvaggia e pericolosa, legati da un rapporto ambiguo, come solo i legami più viscerali sanno essere.

L’emblema del teatro di narrazione, Paolini, col suo stile semplice, diretto e inconfondibile, oramai suo marchio di fabbrica, ha voluto distanziarsi dai temi dell’attualità politica più stringente e parlare stavolta di temi eterni: la lotta dell’uomo con la terra, il rapporto umano/animale, la ricerca del rischio e la curiosità del mondo, contro quelli che si svegliano al primo trillo della sveglia inforcando le pantofole subito pronti ed efficienti, col caffè già preparato dalla sera prima.

Una sorta di On the road ”alla Jack Kerouac ma finalizzato al raggiungimento di un obiettivo, di un sogno ben chiaro – il prezioso metallo- e ambientato ai tempi eroici – per i più anche tempi disneyani- della corsa all’oro nel Klondike e, a tal proposito, agli amanti dei fumetti si ricorda che prima di entrare in sala si può assistere gratis – merita- alla mostra di fumetti di Franco Matticchio ( l’autore dei titoli di testa de ”Il mostro” di Benigni, come qualche cinefilo incallito ricorderà) ”Affetti collaterali”, un titolo che a ben vedere ha a che fare con queste storie, e molto, anche.

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