
[rating=4] La nascita come la morte sono indubbiamente parentesi dell’ esistenza, sono due termini entro cui si compiono le azioni di una vita. Parlare della prima risulta molto più semplice che parlare della seconda. L’una è gioia, l’altra è dolore, distacco. Il teatro, con il suo potere comunicativo, con il suo essere naturalmente mezzo riesce però a parlare di entrambi. La stanza del tramonto racconta così di nascita e soprattutto di morte.
Un fratello e una sorella, resi orami estranei dalla lontananza, si ritrovano lungo i corridoi di un ospedale in attesa che la propria madre venga dimessa. Diventano ore di attesa (come l’attesa di Godot, nel dramma di Beckett) in cui si alterna desiderio, il desiderio di poter ancora stare accanto alla propria madre, di assisterla nella malattia con dedizione, ma anche confusione, la confusione dettata dalla angoscia del momento e dalle mancanze di una vita intera. Da oltre la porta ed il muro grigio si sente provenire il respiro pesante ed il canto rauco della madre che dettano una forte tensione e accompagnano, con l’ostinazione di un contrappunto, i discorsi a volte futili dei due fratelli.
La morte è inesorabile. La vita della madre si spegne. I desideri si trasformano in sogno, i piani pensati si frantumano. Ha qui inizio la seconda parte.
Come avviene nella vita la morte ed il lutto, sopratutto quello di un genitore, segnano l’inizio di un profondo cambiamento. È così che l’animo più recondito dei due protagonisti passa ad una dimensione onirica, visionaria ed infantile. Da un lato la donna si trasforma in un essere amorevole e materno, anche se limitato da una dimensione immatura e bambinesca. Dall’ altro lato l’uomo, che ha mostrato quasi da subito il suo temperamento giocoso, regredisce ancor più ad uno stato infantile. Entrambi si trovano a scontarsi contro uno stato che sembra abbia qualcosa a che vedere con la pazzia. Uno stato che dopo tanto tempo accomuna nel vivere i fratelli. Il gioco e l’ingenua immaginazione, ma anche l’attenzione e la cura segnati dalla tenerezza di una fratellanza amichevole e complice sono qualcosa di famigliare e sentito, che promuove una bella relazione attore-spettatore. Un inusuale bagno di borotalco, che disperde nell’ aria l’aroma della maternità e della fanciullezza, a corpo nudo, ovvero ad uno stato originale e primigenio, preparano come in un rito i due alla rottura definitiva della stanza del tramonto e segnano il passaggio dalla visione alla partecipazione ad esso. Oltre le pareti della stanza del tramonto si celano i misteri di una visione onirica e surrealista a cui i due protagonisti sembrano non potersi sottrarre, ma dai quali sono invece profondamente attratti.
La stanza del tramonto è indubbiamente uno spettacolo che fa riflettere l’anima, portandola anche a scontrarsi con l’oscuro e il misterioso. A fare questo è soprattutto la bravura dei due attori Sara Donzelli e Giampaolo Gotti dell’Accademia Mutamenti, guidati dalla singolare regia di Giorgio Zorcù, accolti in un impianto scenico azzeccato, ideato da Muta Imago (Claudia Sorace e Riccardo Fazi), in cui la componente sperimentale non lascia desiderare. Firma il testo Lina Prosa, autrice siciliana da sempre impegnata nel teatro anche come regista. È questo un testo prezioso, per la profondità del tema e per la delizia di una scrittura drammaturgia a volte puramente dialogata, a volte poetica, a volte prosaica in un cammino di visioni e squisite immagini poetiche e romanzesche. Il testo dà molto a questo spettacolo. La parola è il cuore che pulsa davanti, dietro e con la scena.
La stanza del tramonto, dell’ Accademia Mutamenti, ha debuttato in prima nazionale, il 26 febbraio, a Teatri di Vita (Bologna) nella nuova stagione l’insufficienza del futuro. Teatri di Vita con la direzione artistica di Stefano Casi, incarna molto bene la prospettiva di un Teatro pienamente contemporaneo, proponendo spettacoli di buon valore, come la recente produzione Is, is Oil ispirata a Petrolio di P.P. Pasolini e un programma di spettacoli e non solo, di tutto rispetto.