Incubo d’una notte di mezza estate

[rating=4] Adriana abita in una brutta casa – qualcuno dice addirittura cafona – in una degradata periferia urbana che il marito chiama quartiere residenziale. Adriana non parla con nessuno tranne che col marito, i due figli e la madre (per telefono). Adriana è incinta, e molto soffre il caldo d’afoso fine luglio in un punto imprecisato della costiera napoletana, in un anno qualsiasi tra la fine degli anni settanta e l’inizio degli ottanta. Adriana quand’è incinta non fa l’amore col marito e del resto non riesce a comunicare granché con lui. Adriana è napoletana ma parla il corrotto e contaminato dialetto del degrado, infarcito d’italiano, canzonette, tv e luoghi comuni. Adriana è sola. Adriana è infelice. Adriana non sa di esserlo. E s’addormenta, Adriana, poco dopo l’uscita del marito metronotte, davanti alla tv. Dorme e sogna. Siamo alla prima parte – al primo livello, quello cosciente, anche se non sano – del Notturno di donna con ospiti d’Annibale Ruccello.

Il geniale stabiese – son sicuro che, fosse vissuto anche solo qualcosa in più dei suoi troppo pochi ventisett’anni, oggi lo avremmo tutti salutato come il più grande drammaturgo italiano nostro contemporaneo – costruisce sul personaggio d’Adriana un complesso tessuto drammatico composto da molteplici piani narrativi e attonite descrizioni di sradicate (sur)realtà: drammaturgia – come diceva lui – dei corpi, piuttosto che dei contenuti, dei linguaggi e delle forme, piuttosto che dei concetti. Partitura, dunque per parole e carne, musica più che verbo: a questa musicalità minimale e “scassata”, Giuliana De Sio presta la sua faccia, il suo corpo, la sua maldestra dolce timida aggressiva ironica malinconica fisicità ormai da dodici anni, da quando, cioè, innamorata del testo, lo ha portato in giro in lungo e in largo per l’Italia: singolare esempio di metempsicosi scenica – manco il quasi conterraneo e coetaneo Ruccello l’avesse scritta per lei – ormai per tutti noi Adriana non può che avere i tratti e l’anima di quest’attrice intelligente e schiva.

Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello_ph Federico Riva

Così, mentre l’Adriana/Giuliana s’assopisce sulla poltrona, prende forma una aliena realtà talmente singolare da supporsi debole e vana storia, che solo di un sogno (o incubo) è memoria: un relitto del passato, una certa compagna sua di banco (Rosaria De Cicco), bussa affannata alla sua porta. A questa seguirà il marito di lei (Andrea De Venuti) e il suo amante (Luigi Iacuzio), che però scopriamo esser pure primo amore di Adriana; all’allegra compagnia s’aggiunge perfino il marito di Adriana (Mimmo Esposito), tornato anzitempo dal lavoro: i quattro imbastiscono insieme ad Adriana una pantomima, una commedia, un’azione scenica fatta di schermaglie ripicche minacce ammiccamenti: un obliquo percorso che sempre ad altro rimanda, che non ha significanti che non siano evanescenti ed equivoci, nebbie di sogno che, pur nella logica onirica, provocan lo stupore, il riso, il pianto d’Adriana e e del pubblico insieme. E la cucina col mobile componibile, il quadretto del Cuore di Gesù, il poster di Topolino – le buone cose di pessimo gusto – diventa allora teatro dell’anima d’Adriana, luogo del ricordo, di volta in volta, di passati amori, lontani pianti, sconcertate emozioni ormai rimosse.

Ma ci sono, in questa casa ch’è metafora – ormai lo sappiamo – della mente d’Adriana, ci son dei buchi neri più scuri e profondi d’altri: il “giardino” – che pure immaginiamo cortiletto cementoso e asfittico assediato da invadente vicinato – si colora improvvisamente dei colori caldi d’una stanza d’un’altra casa: abita qui il fantasma dell’affettuoso seppur debole padre d’Adriana (Gino Curcione), sempre pronto ad accontentarla, a scherzare e cantare con lei, a preparar le feste di compleanno, per poi eclissarsi discreto al momento giusto; l’armadio a specchio nero è lo spazio dei ricordi più cupi, legati alla proiezione dell’altro genitore, la madre zoppa e oscura (ancora Gino Curcione en travesti) sempre presente nel dolore d’Adriana, dai rituali bigotti subiti da bambina, alle delusioni d’amore d’adolescente inquieta, alla morte del padre.

Notturno di donna con ospiti di Annibale Ruccello_ph Federico Riva

Adriana salta di luogo in luogo, di livello in livello, ricordando ciò ch’aveva voluto dimenticare, rivivendo il dolore di violenze subite, di gratuiti disprezzi, di sfiduciati affidi, insieme alle canzonette, alle montagne verdi, mina e julio iglesias e fiorella mannoia, quasi conflati insieme, in un crescer progressivo del ritmo e del pathos, passando dal tono leggero e vacuo alla tragedia ch’avviluppa la protagonista in interminato vortice: quando il demone nero uscirà dal luogo ov’era confinato, quando s’avvierà verso la più alta stanza – quella dei figli – il corto circuito brucerà la mente d’Adriana. All’alba, al marito che rientra non resterà, come negli epiloghi dei vecchi drammi, che coprirsi gli occhi con le mani a ripararsi dall’orrore.

Gli applausi del pubblico sono calorosissimi: del resto come non offrire questo tributo a chi ha saputo, per quest’ora e mezza, offrirci la possibilità, come nell’era antica, d’entrare insieme ad Adriana in quello stato nictemerale, né veglia né sogno, eppure sia veglia sia sogno, che genera ciò che gli antichi chiamavano catarsi e che ci rivela, come in uno specchio, il senso ultimo di ciò che chiamiamo teatro?

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