
[rating=4] Cala il sipario, anche se non definitamente, su “Un gabbiano”, di Gianluca Merolli (nella duplice veste di attore e regista) andato in scena al Teatro Sala Uno di Roma. L’amore, il teatro e l’amore per il teatro sovrastano tutti gli altri temi, che pur non sfuggono ad uno spettatore attento, nella sua personale ed intima rivisitazione de “Il gabbiano” di Cechov.
L’amore cercato, negato, tradito, rassegnato, in un intreccio di anime, più che persone, destinate inevitabilmente alla solitudine.
E poi il teatro, anzi, il metateatro, il teatro che spiega se stesso e che, come la vita, è sacrificio, sudore, dolore e lacrime, il tutto in un sovrapporsi di piani in cui i vari ruoli si caricano di sfumature impercettibili, ma piene di drammaticità; su tutti quelli del figlio-autore e della madre-attrice, come se due anime vivessero in una sola persona e non potessero scindersi, né separarsi definitivamente.
I personaggi si muovono sulla scena impalpabili e imponenti al tempo stesso, le movenze sono studiate nei minimi particolari e mai improvvisati, le musiche offrono un contrappunto singolare e geniale, le luci “accendono” e danno vita a gesti, parole e pensieri. Inevitabile il richiamo allo shakespeariano Tebaldo del musical Romeo&Giulietta (interpretato da Merolli e che lo ha fatto conoscere al grande pubblico durante la lunga tournee nei teatri di tutta Italia) anch’esso tragicamente affamato d’amore e nello stesso tempo tremendamente solo.
Una rara e sincera bravura la sua, quella di un’anima bella e sensibile; le sue parole ed i suoi gesti arrivano al cuore perché vengono dal cuore, quello di un artista, uno straordinario artista.
Recensione attenta puntuale. In poche parole delinea con tratti accorti e sfumati la cifra stilistica che impregna la rappresentazione ed invoglia a perdersi trasportare dalle onde della solitudini…