Il piccolo principe… In arte Totò al Cometa Off di Roma

Antonio Grosso riporta in scena gli anni inediti del grande artista napoletano

Antonio Grosso veste i panni del giovane Totò.
Antonio Grosso veste i panni del giovane Totò.

Fare uno spettacolo teatrale su Totò non è roba da poco. In primis perché si tocca un mostro sacro della cultura italiana e in seconda istanza perché si tocca un mostro sacro della cultura italiana. Eppure non è sempre stato così. Totò prima di nascere “principe della risata” era stato un “retrocesso” dalla quarta alla terza elementare, picchiato in viso da un maestro che gli aveva così “regalato” una faccia deformata dal naso a scalino e mandibola sporgente.

Era stato un soldato poco convinto, un attore da sostituzioni senza paga, una macchietta derisa sui palchi partenopei fra fischi e lanci di pomodori. Questo passato “nascosto”, che pure ha segnato la parabola umana e artistica di uno dei nomi più importanti del panorama culturale nazionale, è stato decisivo nella sua carriera. Antonio Grosso ne ha con intelligenza colto il potenziale e invece che riportare sul palco il Totò arcinoto, esponendosi facilmente all’omaggio stantio e banalmente imitativo, apre invece un’inedito spiraglio sulla gioventù della maschera fra le maschere.

Il piccolo principe… In arte Totò in scena al teatro Cometa Off di Roma dal 19 al 24 marzo, scritto, diretto e interpretato da Antonio Grosso con Antonello Pascale, ripercorre così gli anni giovanili del “principe” appunto De Curtis. Una nobiltà il cui riconoscimento inseguì ferocemente per tutta la vita. Aspetto però poco indagato nel testo, così come l’attitudine ombrosa e malinconica, segnata dalla morte del primo grande amore Liliana Castagnola, la femme fatale suicida col cui nome battezzerà la sua unica figlia e accanto alla quale vorrà essere sepolto.

Ma dopotutto qui si parla dell’Antonio ancora acerbo in cerca di riscatto sociale, sulla scia del macchiettista Gustavo De Marco. Un Totò ancora in divenire che raccoglie tristemente il biasimo della sua Napoli, dalla quale fuggirà deluso verso Roma, per poi tornarvi da grande divo. Sono gli anni dell’infanzia, dell’adolescenza e poi della prima fase adulta, quando finalmente dopo una lunghissima gavetta nella commedia dell’arte, nell’avanspettacolo, nelle riviste e nel “varietè”, arriva il cinema a consacrarlo in maniera definitiva e irreversibile.

Una beffa anche questa in fondo, visto che il teatro, da lui così amato e le cui famigerate “luci della ribalta” finiranno per renderlo praticamente cieco, a causa del distaccamento della retina, non sarà il veicolo del suo successo più grande. Eppure in lui incarnati Petrolini, Keaton, Chaplin, Viviani e tanti altri, vivranno per lunghe e applaudite repliche nei teatri più noti della capitale: Sala Umberto, Ambra Jovinelli, Valle.

Antonello Pascale in "Il piccolo principe... In arte Totò" in scena al Cometa Off di Roma dal 19 al 24 marzo.
Antonello Pascale in “Il piccolo principe… In arte Totò” in scena al Cometa Off di Roma dal 19 al 24 marzo.

Con lui lavoreranno i più grandi: Sordi, Magnani, Pasolini, De Filippo, De Sica, Fabrizi, Fernandel e la lista è ancora lunga. La sua comicità elastica d’improvvisazione e neologismi irresistibili avrà il suo trionfo soprattutto sul grande schermo, idolatrata dal grande pubblico, anche se mai apprezzata dai critici, che solo molti anni dopo la sua scomparsa ne riconosceranno il genio. Ahinoi.

Questo Antonio “guaglioncello” che Grosso presenta, è godibilissimo e inedito e proprio perché diverso dal Totò a cui siamo abituati, rappresenta una chiave di lettura dinamica e originale. Lo spettacolo è pieno di ritmo, perfino troppo, si corre letteralmente da una scena all’altra con Grosso nei panni del Totò scugnizzo e Pascale in quelli di vari personaggi che hanno accompagnato la sua vita, su tutti il fidato cugino Eduardo. È un continuo scambio serrato di battute e momenti comici, imperlati dalla musicalità del dialetto partenopeo, di quando in quando arricchito anche da motivetti e canzoni.

E non poteva essere altrimenti, visto il grande amore di Totò per la musica, a cui dedicherà diversi testi memorabili, su tutti basti citare “Malafemmena”, poi portata al successo da Murolo. La regia gioca sulle luci di Giacomo Aziz, che si stirano sul palco come raggi di proiettore, attraverso i quali Grosso e Pascale camminano dentro e contro la luce, offrendo la potente metafora delle ombre umane serrate nel cuore di un artista in fondo tormentato.

Bella anche l’idea delle giacche “appese” e sospese, simbolo delle tante personalità indossate da Totò nel corso della vita in veste di attore, non certo solo comico. Le scene e i costumi di Marco Maria della Vecchia ce lo restituiscono in tutta la sua genuinità, anche nel moto ondulatorio delle altalene, che ancora una volta riprendono il tracciato degli alti e bassi nell’esistenza dell’Antonio privato. Un piccolo grande uomo terrorizzato dall’oblio e che invece ha regalato all’Italia personaggi iconici, stampati a viva forza nell’immaginario transgenerazionale.

Il piccolo principe… In arte Totò, è un documento storico che merita soprattutto l’attenzione delle scuole. Proprio in ragione di questi aspetti così poco indagati rispetto all’evoluzione artistica di un monumento come Totò, che pure è stata attraversata da sconfitte e momenti d’arresto. Ma c’è di più, la pièce è un ottimo esempio del cosiddetto “viaggio dell’eroe”: il mondo ordinario, la chiama all’avventura, prove, alleati, nemici, ricompensa, via del ritorno e resurrezione.

Tutto nella vita di Totò è fulgido esempio del cammino ispido e turbolento nel mondo dell’arte, alla ricerca quasi folle e disperata di un riconoscimento altrui, che in ultimo è invece solo quello che dobbiamo riuscire a concedere a noi stessi. Scomparso dunque come la creatura letteraria di Antoine de Saint-Exupéry, il piccolo principe bambino, cresciuto fra i vicoli della Sanità, elude nonostante tutto la metamorfosi nell’uomo e resta così immortale. Proprio lui che, paragonandosi a un falegname, che almeno lascia un sedia su cui qualcuno può sedersi, credeva di aver seminato solo parole obsolescenti.

Last but not least la recitazione. Antonello Pascale ci regala un meraviglioso prisma di personaggi “spalla” che alla fine riescono a conquistarsi il loro meritatissimo primo piano, al fianco di Antonio Grosso che spinge ai limiti la presenza scenica e il movimento. Molto bravi entrambe, senza sbavature e forzose “pinzillacchere” come direbbe il buon Totò. Minuscola nota stonata i voice over, di troppo e nient’affatto irrinunciabili nel contesto di un tracciato narrativo già ricchissimo, che Grosso riporta efficacemente in prima persona.

Menzione speciale per il monologo retorico-antiretorico in cui i due Antonio, Grosso-De Curtis, si ibridano, cullandoci sul mare che stavolta bagna Napoli, tanto per fare pure qui una citazioncina (retorica?) nell’amore-odio per una città stupendamente difficile, che talvolta partorisce e poi getta i suoi figli nel mondo, al solo fine però di aspettarne sempre e comunque a braccia aperte il glorioso ritorno.