
Il palco è invaso di scatole, cassetti, vestiti, sacchi. Un colore uniforme divora la scena, tra il seppia e il beige anacronistico – come fogli di giornale stinti al sole. Al centro Emilia, una ex bambinaia, che racconta un presente ambiguo e un passato ancora più confuso e allagato di ricordi. Si intuisce che la donna è finita in carcere, ma non se ne capisce il motivo.
Emilia è Giulia Lazzarini, che minuta e fragile si erge sopra gli altri interpreti: una voce controllata, mai urlata, roca e sottile, poi spessa. Una rievocazione femminile di minuzia e attimi a strapiombo, risalite, poi di quieto vivere. Un naufragare nel tempo della memoria, nel tentativo di dare peso e consistenza a un passato che sembra sfuggire o non essere mai esistito.
Il suo racconto rivolto al pubblico è un espediente per mettere in fila gli avvenimenti senza necessariamente capire, forse solo scandire il ritmo dell’ordine mentale. Quello che Emilia ha fatto, e per cui è in carcere, lei lo rifarebbe. Per il suo Walter. Il bambino ormai cresciuto e divenuto un uomo apparentemente realizzato, con una famiglia nevrotica, felice ma non troppo, un chiaroscuro incombente e fluido in andamento patetico, non forse bene calibrato dal cast di attori (che si lasciano andare a facili isterismi, eccetto la Lazzarini).
La suspense costruita dal drammaturgo argentino Claudio Tolcachir è il punto di forza, l’aspetto meglio riuscito di questo dramma che oscilla tra tinte fosche e ordinarie. Ciononostante qualcosa non è stato sfruttato a pieno. L’attrazione del figliastro adolescente di Walter nei confronti di Emilia, ad esempio, è un attimo che sembra cadere dall’alto senza anticipazioni e non è sviluppato né allargato. Il rapporto tra la bambinaia e Walter anch’esso sembra navigare in superficie, così come la storia d’amore tra Gabriel e Carolina.
La parte centrale, più confusionaria rispetto all’inizio in splendida tensione e al finale in crescendo, svela il patetismo di Emilia, che si ostina a declinare il presente alla luce dei ricordi. E tutto si mescola all’infelicità dell’attuale famiglia di Walter; alla figura di Gabriel, l’antagonista, instabile e spavaldo; alle perversioni di Leo e i disturbi alimentari della madre. L’amore falsato, esasperato, l’abbandono generano infine il delitto: e si presume che Emilia prenda le difese del colpevole, Walter, finendo così in carcere, chiudendo il cerchio dell’impotenza. I fantasmi tornano al loro posto, possono riaccendersi le luci in sala, e mostrare meglio quella catasta di oggetti che simboleggiano il disordine dell’anima.