
[rating=3] La prima sorpresa è entrare nella “conchiglia” del San Ferdinando, qui a Napoli, e notare come parte degli spazi laterali della platea, dall’una e dell’altra parte, siano stranamente ingombri di mobili: a sinistra addirittura una guardiola di portineria, coi suoi vetri scorrevoli e le porte in vetralluminio; più in là un cucinotto e a seguire un letto; a destra una toeletta e un piccolo tinello; più in alto, le estremità dei palchi son diventate verande di diverso stile e foggia; in più, due porte dei palchi portan la dicitura “affittasi”. Benvenuti, dunque, come una gran scritta luminosa avvertirà appena iniziato lo spettacolo, al “Parco Zeno Cosini”: e se è pur vero che “un parco a Napoli è tale pur se non ci sono alberi, non è necessario il Bosco di Capodimonte”, meglio definirlo (con)dominio, anzi coscienza, quella di Zeno Cosini – omaggio al primo italico personaggio creato in piena consapevolezza e avvertenza delle teorie di Freud da Italo Svevo – compromessa e frammentata in otto personaggi (in cerca d’un padrone) che se ne dividono, appunto, il dominio, distruggendo l’unità della persona e rendendola nevrotica, priva, cioè, della piena libertà delle sue scelte e delle sue azioni.
Così, l’idea folgorante di Valeria Parrella, che della pièce è autrice talentuosa, trova nella soluzione registica di Andrea Renzi la sua traduzione visiva e coinvolgente: il pubblico si trova infatti in posizione privilegiata per seguire sia gli eventi che si svolgono nella realtà esteriore di Zeno – sul palco lo vediamo all’inizio trascorrere una notte un po’ agitata, poi al mattino svegliarsi, andare al lavoro e condurre la sua vita – sia quelli che avvengono nella sua realtà interiore, in cui ogni istanza psichica, desiderio o esigenza ha preso le fattezze d’un diverso personaggio che occupa una porzione della mente di Zeno come fosse un appartamento di un condominio, appunto; non solo, possiamo vedere subitamente svolgersi sotto i nostri occhi come gli avvenimenti del mondo esterno trovino eco immediata in quello interno e, viceversa, di come le urgenze interiori guidino – male, in verità – Zeno nelle sue scelte quotidiane.
La metafora della mente come condominio si rivela effettivamente, nello svolgersi dell’accadimento drammatico, perfettamente adeguata non solo per comprendere una situazione disturbata come quella del protagonista, ma anche per coglierne la genesi e l’evoluzione, e quindi la felice risoluzione: così pian piano comprendiamo come Zeno (efficacissimo Giovanni Ludeno), giovane nevrotico, viva a metà la sua vita, incapace di veri rapporti, perché non ha fatto altro che introiettare figure significative della sua vita reale all’interno del proprio immaginario psichico. Certo, questa è una operazione che si svolge normalmente nell’evoluzione di ciascuno di noi (il nostro superego, per esempio, si plasma sul modello dei nostri genitori), ma per qualche arcano motivo il processo, nel caso di Zeno si è bloccato, “fissato”, in modo da rendere impraticabile ogni rapporto umano libero e felice. All’inizio, infatti, ci viene raccontato, è stata introiettata una figura paterna, il primo vero occupante della mente di Zeno (ottimo come sempre Tonino Taiuti), che è diventato così il portiere del condominio e capo di una idea di famiglia, composta anche dalla moglie (Cristina Donadio) e dalla figlia (Valentina Curatoli). Attorno a questo nucleo iniziale si sono coagulate le altre istanze/personaggi, aggiuntisi in seguito: sul modello di due amiche di gioventù (Antonella Stefanucci e Alessandra Borgia) si sono istallate, da un lato, le esigenze tradizionaliste, popolari e religiose di Zeno, dall’altro, e per antitesi, le istanze innovatrici e moderniste; ancora, le pulsioni erotiche e vitali si sono tradotte e traslate sotto forma di una giovane coppia (Carmine Borrino e Giorgia Coco); infine, l’esigenza di metter ordine e regole a tutto il condominio e alla vita psichica ha creato il personaggio un po’ acido e rigido della “preside” (eccellente Mascia Musy). Su tutto il condominio e le sue liti, a modularne e regolarne le spesso contrastanti pretese, un amministratore di condominio/psicologo (Antonello Cossia) che entra ed esce dall’esterno all’interno e viceversa, in un ruolo d’aiuto esplicativo e cooperativo.
Tutta la narrazione ha un tono molto leggero e piacevole, da commedia surreale (ma non troppo), grazie anche ai motivetti e alle canzoni (della stessa Valeria Parrella e di Federico Odling) che vengono cantati dai personaggi; inoltre, ogni personaggio/istanza psichica, fisso nella sua stereotipicità, che si spinge fino ad assumere un linguaggio e un accento diverso a seconda del suo scoperto significato (il napoletano “verace” del portiere e quello italianizzato delle esigenze popolari, l’italiano napoletanizzato della modernità, il tono un po’ saputello dei giovani amanti, l’accento veneto della preside), purtuttavia possiede, lungi dal chiudersi in un lontano e freddo archetipo, una sua calda, simpatica ed empatica umanità, che si riversa, poi, sullo stesso Zeno cui tutti i personaggi appartengono.
Alla fine, infatti, ogni personaggio uscirà dalla mente del protagonista, percorrendo in qualche modo il percorso inverso, trasmutando dal mondo egotico e chiuso verso un esterno che ha sapor di minaccia ma al tempo stesso è vivo e vitale, (ri)prendendo carne e sangue e portando lentamente il giovane Zeno fuori dal nevrosi in cui era caduto, rendendolo capace di intrattenere finalmente rapporti veri e autentici con gli altri, come la giovane collega di cui da sempre era innamorato. Questa (ri)nascita delle idee e delle istanze psichiche che, come un parto plurimo, s’accompagna alle doglie che lo caratterizzano, doloroso nell’atto dell’uscire dall’utero caldo e sicuro per diventare finalmente personaggi (o persone) “reali”, è forse la parte più felice dell’intuizione dell’autrice: così – e non poteva essere diversamente – la prima istanza ad uscire è il personaggio della “preside rigida” che lascia la “mente” di Zeno per (ri)presentarsi sul palco della vita “reale” come una perduta sorellastra, ricostruendo quindi le monche radici di Zeno; successivamente usciranno le istanze moderniste e popolari, che s’incarneranno nelle due amiche di Zeno dei tempi dell’università, e così sarà anche per il ragazzo che nella testa del protagonista rappresentava la sessualità: (ri)diventerà l’amico di gioventù che ci “sapeva fare con le ragazze” (l’altra metà della coppia, come accennato, trasmuterà nella collega di cui è innamorato Zeno).
Così gli otto personaggi che, un po’ pirandellianamente, avevamo incontrato in cerca, in qualche modo, d’un padrone e, soprattutto, d’un equilibrio, troveranno invece una nuova e più complessa essenza nella realtà. La facile prevedibilità delle situazioni e dell’evoluzione nulla toglie alla piacevolezza delle trovate sceniche e alla drammatizzazione, sempre efficace. Se un difetto c’è, invece, consiste nel fatto che spesso le idee, i moniti, tutto ciò che, insomma, l’autore vorrebbe (e dovrebbe) far arrivare giù in platea, vengon spesso declamati più che agiti, detti più che fatti intuire dall’azione teatrale: difetto d’esperienza nella difficile arte della scrittura teatrale, probabilmente, che facilmente vien perdonato, raccogliendo invece la rappresentazione l’applauso convinto di tutto il pubblico intervenuto numeroso.