I sublimi “Giganti della montagna” di Gabriele Lavia

Al Piccolo di Milano in scena l’ultimo capolavoro pirandelliano

Il sipario si alza, e sul palcoscenico compaiono il rudere di un teatro e un gruppo di clown, gli Scalognati, a metà tra il circo e la commedia dell’arte. È notte e vedono arrivare qualcuno: si tratta di un’altra scalcinata compagnia, diretta dalla contessa Ilse, che senza successo gira i teatri proponendo La favola del figlio cambiato di Pirandello. Ad accogliere Ilse e la sua compagnia però non c’è solo qualche spaurito clown, ma anche Cotrone, un mago che sembra conoscere la verità delle cose benché dica di inventarla su misura costantemente. È Cotrone, oracolo e illusionista, a cercare di convincere la compagnia di Ilse a rappresentare il loro spettacolo di fronte ai giganti della montagna, esseri umani diventati belluini a causa del pervertimento della tecnica.

Lo spettacolo termina dove la sorte volle che Pirandello s’interrompesse: I giganti rimase incompiuto per la morte del siciliano. Quel che sappiamo sul finale della pièce lo ha raccontato il figlio Stefano. Nell’ultimo atto dei Giganti, Ilse e la sua compagnia avrebbero rappresentato La favola del figlio cambiato davanti al popolo, il quale, però, involgarito e corrotto, disprezza lo spettacolo. Ilse si scaglia contro di loro, e ne nasce uno scontro che porta alla morte dell’attrice.

Si tratta di un finale così tragico che quasi non sembra nelle corde di Pirandello, tanto che il vero miracolo dei Giganti risiede nella capacità di poter essere rappresentato anche senza un finale, senza quasi risultare monco. Gabriele Lavia interpreta il testo più difficile di Pirandello con raffinatezza e intelligenza, regalando uno spettacolo bellissimo e carico di foschi presagi. Le luci usate a regola d’arte e la scenografia, bellissima ed evcativa, arricchiscono il testo pirandelliano, summa di tutto il suo pensiero e di tutto il suo teatro, tanto che Cotrone è l’alter ego dello stesso Pirandello. E lo si capisce in passaggi come quello in cui spiega come un personaggio può “diventare vivo”, cioè quando il fantoccio viene innervato dallo “spirito”. Ma per considerare veri questi personaggi, ovvero i fantocci innervati, bisogna credere come credono i bambini, che “fanno il gioco, ci credono, e infine lo vivono”.

Nei Giganti la concezione pirandelliana dell’attore, della scrittura drammaturgica e della creatività raggiunge il loro pieno compimento. Tanto che Cotrone-Pirandello non avrebbero potuto salvare Ilse: “Dove ci sono gli uomini (dove verrà rappresentato lo spettacolo in ultima istanza, ndr) io non ho potere”. Da parte sua, Lavia non sminuisce l’importanza dell’opera, ma la arricchisce con la propria presenza e con delle scelte di regia assolutamente azzeccate. A scene inquietanti si alternano scene di rara intensità, capaci di trasmettere allo spettatore tutta l’incertezza del vuoto cosmico del pensiero pirandelliano.

È un peccato dunque che una resa così splendida sia macchiata da uno stesso Lavia non in perfetta forma, soprattutto nella voce (dubitiamo che in galleria abbiano sentito qualcosa), e da una Ilse, interpretata da Federica Di Martino, che spesso esagera nella disperazione e nei volti sfigurati. Sono le uniche note che stonano in una rappresentazione altrimenti splendida.

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