
«Le stelle lasciamole in cielo, il mare lo scrive il poeta, le nuvole lasciamole ai pazzi». Con queste parole nel piccolo e gradevolmente scuro palcoscenico del ridotto della Città del Teatro e della Cultura di Cascina (PI) si è aperto Luna Park di LeVieDelFool, che segna anche l’inizio della stagione Nuovi Orizzonti Teatrali.
In scena solo Simone Perinelli, tre fari spenti, un’asta con microfono e due quinti armate. Il Fool ci racconta di Dio e degli alieni. Racconta e non dice. Solo il Fool può raccontare davvero, noi siamo limitati e costretti dalla Società, dal Mondo; il Fool no. Proprio lui sarà a dirci la verità su Dio e sugli alieni: ma è veramente la verità? Anzi, è importante sapere quanto sia veritiera?
L’interpretazione di Perinelli, rispettando la figura del Fool, riesce a rendere bene ed a trasportare in scena con gentilezza la gestica tipica delle persone affette da disturbi psichici: ottimi e repentini i passaggi interpretativi dal matto che ripete con insistenza le stesse frasi al matto che riesce a vedere oltre, forse ben oltre, ciò che vedono i cosiddetti sani: fino anche a vedere Dio con il cannocchiale più potente del mondo che si trova in Etiopia.
Il pubblico ride. Ma perché ride? Queste frasi sono battute umoristiche, il riso è aspro – più che agrodolce – e il Fool fa pensare, fa piangere, ci fa perdere con le sue frasi. Lui non ha perso, la sua casa di fronte alla tangenziale e senza giardini per far fare due passi alla cagnolina Lola non sono una sconfitta, la sua felpa, i suoi jeans sgualciti e dozzinali e il suo cappellino infeltrito non sono una sconfitta; anzi, forse sono gli unici mezzi che gli hanno permesso di incontrare e di capire l’Universo.
La regia, strutturandosi sull’oscurità scenica, riesce bene a rendere visibile il vuoto, sia quello interiore del personaggio sia quello dell’Universo. E proprio sulla resa scenica di quest’ultimo si incentra probabilmente il gioco luci: faretti caldi e avvolgenti vengono contrastati, alternativamente, da un unico, stretto e freddo occhio di bue.
Lo spettacolo muove dal Don Chisciotte di Miguel de Cervantes (oltre che dai lavori di Douglas Adams) e i tratti in comune sono diversi; quello che arriva con maggior impeto forse è quello del cambiamento e della morte di una classe sociale e politica: la cavalleria. Nella società contemporanea è presente un certo tipo di moria dei valori etici e morali e quindi essendo Don Chisciotte uno degli epiloghi della gloriosa storia cavalleresca quale potrebbe essere una sorta di parallelismo al giorno d’oggi? «Salga a bordo, c***o!», la telefonata fra il comandante De Falco della Capitaneria ed il Comandante Schettino della Costa Concordia viene riprodotta in sala.
In chiusura i tre fari posti ai piedi del fondo scena si accendono e producono una luce calda ma estremamente abbagliante: si palesa nella mente Esodo 33, 20 “Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo»” ma, proverbialmente: Dio aiuta i pazzi. Il cavaliere al che si gira, ci dà le spalle e avanza verso le tre fonti di luce. Di cosa sono queste luci? Del luna park? Di autovetture sulla tangenziale? Di mezzi di locomozione per ora sconosciuti? Chissà se le navette extraterrestri hanno i fari per illuminare il vuoto dello spazio.
Nonostante queste domande, l’uomo non ha paura e va, fiero con la sua compagna Lola, verso l’ignoto, verso il futuro perché alla fine le nuvole appartengono a lui.