Assassina: il gioioso assurdo di Scaldati

Il testo di Scaldati interpretato dagli elementi della sua compagnia teatrale

assassina

“Non ti vergogni a chiedere l’elemosina?”, “Si devono vergognare loro a darmela!”

Una vasca da bagno con piastrelle verdi e un abbozzo di casa costruita intorno. Un attore fra il pubblico con una cartellina in mano legge alcuni termini in siciliano e spiega il loro significato in modo simpatico e leggero, anche con esempi e “quiz”. Queste parole in dialetto poi le ritroveremo nello spettacolo “Assassina” all’Arena del Sole di Bologna, di e con Enzo Vetrano e Stefano Randis, con gli intermezzi musicali dei fratelli Mancuso, sul testo di Franco Scaldati.

Una vecchia vive in questa specie di casa, insieme alla sua gallina Santina, il topo Beniamino e la mosca Lucina. Le sue giornate passano monotone, una uguale all’altra: attende l’uovo della gallina, si cucina la pasta, si lava i piedi prima di andare a letto controllando bene che non ci sia un pescecane a mangiarle i piedi. Il testo è da subito con qualche connotazione assurda, come il tentativo della vecchietta di sbiadire la propria ombra con la candeggina o delle “tecniche” che adotta per separarsene. Non si ricorda se ha già mangiato o no, in alcuni momenti sembra che la lucidità l’abbia abbandonata, “ma io devo fare la pipì o no?” chiede al pubblico, in altri invece è lucidissima. Offende in mille modi, colorati anche dal dialetto siciliano, il topo che non esce mai dalla sua tana, poi si addormenta, disturbata soltanto dalla mosca Lucina, minacciata anch’essa.

Entra in scena un uomo, scandendo le vocali “a e i o u”, definite dei “ricami”. Non si accorge della vecchietta e si comporta come se quella fosse casa sua. Si cucina la pasta, coccola la gallina Santina, si prende gioco del topo Beniamino facendogli il verso del gatto, saluta il quadro dei genitori che anche la vecchietta aveva salutato prima di coricarsi. Si va a stendere accanto alla vecchietta e si addormenta. E’ una situazione assurda, si coricano nello stesso letto, sembrano la stessa persona nella stessa casa. Al risveglio della vecchietta, si trova questo estraneo in casa: dapprima pensa che sia un ladro in cerca del suo sussidio, poi tenta in ogni modo di metterlo alla porta.

In questo frangente il testo di Scaldati da il meglio di sé: ognuno accusa l’altro di essere entrato abusivamente in casa propria, poi, constatato che ognuno conosce la casa e i suoi “abitanti” troppo bene per esserne totalmente estraneo, si ricercano le soluzioni più improbabili: “può essere che vossia è ubriaca e che io non esisto”, oppure la vecchietta è il lato femminile e l’omino quello maschile di un unico individuo? “Vuol dire che abitiamo assieme, com’è che non ci conosciamo?”, “Può essere che mi coricavo e sono morto”, oppure che è tutto un sogno anche se “sogni così brutti non ne faccio!”. Questa situazione abbastanza assurda, che ricorda per certi versi il dialogo tra i coniugi Martin de “la cantatrice calva” di Ionesco, si chiarisce solo nel finale, anche se non del tutto.

“Può essere che siamo uno e pensiamo di essere due” […] “uno l’ombra dell’altro”.

Molto bravi gli attori Enzo Vetrano e Stefano Randis, sempre all’altezza del ruolo tutt’altro che semplice che devono affrontare. Bravi anche i fratelli Mancuso, che escono da un quadro nella scenografia per cantare e suonare canzoni tipiche siciliane, utilizzando anche strumenti dimenticati come la sansula, il salterio ad arco o il mezzo colascione : proprio a loro l’omino e la vecchietta accendono ceri e si prostrano per venerare i propri genitori, forse riferendosi più alla sicilianità in generale che a persone in carne ed ossa. Il testo di Scaldati è molto interessante e pieno di spunti di riflessione: i due sul palco non si riconoscono perché presi dall’egoismo della loro esistenza, ma non riconoscendo l’altro, perdono la propria identità, pur convivendo nel medesimo spazio.

“Ci siamo ancora?” “Io ci sono”