Il Don Giovanni glam-rock dell’Orchestra di Piazza Vittorio

L'Orchestra di Piazza Vittorio sotto la regia di Andrea Renzi apre la stagione teatrale 2018/2019 del Teatro Bellini di Napoli con una reinterpretazione del Don Giovanni di Mozart

Esistono due modi di approcciarsi a un classico: con reverenza, in punta di piedi, emulando senza torcere nemmeno un verbo all’originale oppure al contrario con una malcelata insolenza, un rispetto che sfocia nella rivolta, nell’epigonismo, guidato dalla consapevolezza che le copie si sgretolano davanti ai capolavori e l’unica via possibile a volte è dissacrarli.
Entrambi i percorsi sono difficili e pieni di insidie, ma al primo preferisco – se ben fatto e supportato da un grande talento e da una grande ambizione – il secondo e spesso questa fiducia nell’azzardo mi dà ragione, è il caso del Don Giovanni di Mozart secondo l’Orchestra di Piazza di Vittorio che apre col botto (e con un tutto esaurito) la stagione 2018/2019 del Teatro Bellini di Napoli.

Alla guida dell’Orchestra più multietnica d’Italia, nata in seno al rione Esquilino nel 2002, c’è l’attore e regista Andrea Renzi percepibilmente affascinato da quel concetto di “musica da Piazza” in cui, a saperla cercare, c’è l’idea stessa del teatro del mondo.
Il Don Giovanni che Renzi e l’Orchestra mettono insieme è una provocazione lunga 80 minuti, a partire dalla scelta di affidare il ruolo del protagonista, il latin lover più famoso al mondo, a una donna, la bravissima cantante Petra Magoni, che in un gioco di perversioni e travestimenti conferisce a noto seduttore un’aria lussuriosa oltre misura ma allo stesso tempo scanzonata, da ragazzaccio, androgina e border, con i capelli cortissimi e il frac. Ma proprio in questo contrasto dissacrante il personaggio trova la sua forma migliore e perfettamente calzante, la lascività, la maschera, la sessualità indiscriminata non sono forse le caratteristiche primordiali di Don Giovanni?

Sul palco con lei la sfilata delle sue donne/prede: Donna Anna (Simona Boo) che gli resiste, fedele al suo Don Ottavio (Evandro Dos Reis) che se da un lato la ama incondizionatamente dall’altro è segretamente attratto lui stesso da Don Giovanni; Donna Elvira (Hersi Matmuja), sedotta  e abbandonata, rimasta per di più incinta, che però non riesce a non amarlo e a non provare pena per la sua vita dissoluta e infine Zerlina (Mama Marjas) novella sposa che anziché trascorrere la prima notte di nozze col marito Masetto (Houcine Ataa), la passa nelle braccia del protagonista. A fare da cornice il fedele servo Leporello (Omar Lopez Valle) che tenta invano di avvertire sia il padrone che le sue amanti del pericoloso gioco a cui tutti loro stanno partecipando.
Onnipresenti sulla scena, con cui trovano armonia e affiatamento, l’orchestra intera (pianoforte Leandro Piccioni, contrabbasso Pino Pecorelli, batteria Davide Savarese, chitarre Emanuele Bultrini, tastiere Andrea Pesce) in bellissimi abiti stile “ballo della scuola” anni ’70, scelti da Ortensia de Francesco, incorniciati dalle luci Daniele Davino e dalle ambientazioni disco-dance di Barba Bessi, che fanno perfettamente pendant con la poltrona-trono di Don Giovanni, il piccolo sipario argentato e il disco sospeso sulle loro teste su cui vengono proiettate le illustrazioni di Daniele Spanò.
Lo spettacolo che ne viene fuori, nel senso più puro e azzeccato del termine, è un’appassionante musical multietnico, in cui ogni lingua diventa veicolare di un particolare stato d’animo: col francese ammaliante si seduce, con la saudade portoghese si piangono gli amori finiti, con l’italiano della lirica si soffre e ci si arrabbia, con l’inglese si scherza e ci si distende.
Magoni sul palco è instancabile e perfetta, tanto che lo spettatore non riesce ad immaginarsi altri che lei nei panni del Don Giovanni, anche se donna, anzi soprattutto in quanto donna, così seducente e ammaliante ma allo stesso tempo sfrontata e tragica.
Incantevoli le tre donne-coriste, Matmuja, Mama Marjas e Simona Boo, tre rappresentazioni diverse dell’amore, tre facce in fondo di una sola medaglia come ben rappresenta l’unione e la sintonia che in scena c’è tra loro.
Superfluo elogiare l’Orchestra che sotto la direzione artistica di Mario Tronco, la direzione musicale di Leandro Piccioni e la regia di Andrea Renzi riesce non solo a dare il meglio di sé ma anche ad arricchire con accezioni e sfumature nuove uno dei classici più famosi non solo della musica o dell’opera ma dell’arte in sé, che nelle sonorità rock, jazz, disco e reggae scelte per questa rivisitazione trova una nuova vita, diversa certo dall’originale, ma ugualmente bella e avvincente.