
Quando si parla di teatro-canzone non si può, in modo fulmineo, evitare il correre della mente verso Gaber, padre pioniere del genere con Luporini, ma poi anche agli altri “illustri” come Guccini, Jannacci, Paolini, Modugno, Ciampi, fino ai più recenti Celestini, Capossela, Mannarino, ma pure forme ibride di recitar cantando con De André, Cristicchi, perfino Celentano. E non sono stati citati tutti. Ciascuno ha portato in musica il proprio mondo, credo politico o artistico, sentimento, la propria ironia, talvolta pungente, talaltra più sbarazzina, dando lustro a un genere che solo i più approssimativi definirebbero un’accoppiata di musica e parole da scena.
A ben vedere tuttavia in questo nutrito elenco di eccellenti, mancherebbe un nome, uno di quelli che, specie a Roma, fatta eccezione per il compianto maestro Proietti, non si celebra ancora abbastanza e con continuità. Eppure questo nome “mancante” all’appello dei grandi cantastorie, genio della risata e dell’interpretazione carnale della vita, già cent’anni orsono ci regalava perle di teatro-canzone, che altri più tardi, avrebbero semplicemente formalizzato: Ettore Petrolini. Sì proprio lui, corpo e voce di Gastone, Gigi er bullo, I Salamini, Canzone a Nina. Un romano doc che aveva portato i personaggi della strada dentro il teatro di varietà, la rivista, l’avanspettacolo. Artista fra i pochi che, in tempi pre-pasoliniani, aveva compreso la bellezza feroce e indimenticabile della periferia.
Ecco finalmente arrivare qualcuno a provare a raccoglierne l’eredità, creando una versione inedita di teatro-canzone che sfiora l’impegno civile degli anni ’70, “acchiappa” al volo lo sberleffo capitolino e lo ibrida col cantautorato. Emilio Stella, il 9 e 10 novembre al Teatro Lo Spazio ha portato in scena una chicca, ancora acerba, ma nel cui nucleo già si evince una forza prepotente. Parliamo di: “Stella di periferia” lo spettacolo scritto e diretto dal cantautore di Pomezia, che da ragazzino si vergognava dei calzini bucati, ma fra cortili e campetti, amici in motorino senza casco, prostitute e gattare, già osservava il mondo con gli occhi avidi di catturarne ogni frammento, dettaglio, ricordo.

Questo amore per le “Cose piccolissime”, per la “vita lenta” di un bar-isola al centro di un caseggiato popolare, si coglie tutto nel racconto di un giovane uomo che, decidendo di cambiare vita, ripercorre in musica tutti i luoghi, le storie, le persone che hanno abitato quelle case, ma pure la sua anima. Stella di periferia, nato da un’idea di Simone Cristicchi, è una parabola umana di sincera devozione a delle radici che non potranno mai essere strappate e che anzi, pur lontano nel tempo e nei luoghi, rappresenteranno sempre un’identità forte, orgogliosamente rivendicata in ogni nota.
Così “A testa alta“, “Canta ribelle“, “Marcella“, “Pontina“, “E io te amo“, solo per citare alcuni dei titoli musicali, ci raccontano micromondi all’interno del più grande quadro di una Roma talvolta sporca, maleducata, scorretta e pettegola, di cui ci lamentiamo nel traffico o in ascensore. Ma è proprio qui che nasce la fascinazione per la città, sempre pronta in ogni modo a offrirsi, a farsi amare in tutta la sua multiforme bellezza. Ed ecco allora che quel romanissimo sentimento di malcelata ostilità e cinismo, si schiude invece in profondo e orgoglioso attaccamento, che non può, in ultimo, non sfociare nell’intoccabile ricetta della carbonara.
Lo spettacolo è valido ed Emilio Stella sorprende per il suo approccio mimico e attoriale che forse ci sarebbe piaciuto vedere di più in scena, laddove invece la canzone straripa e fagocita la drammaturgia, a svantaggio di un recitato che mostra chiari segni di talento. Funziona la scenografia ermetica, con le sedie di plastica da bar del litorale, i panni stesi e l’insegna caduta, meno forse la regia, che meriterebbe anche qui uno spazio maggiore, soprattutto nel gioco di luci a favore delle emozioni “cantate” su palco.
Emozioni che in ogni modo arrivano tutte, riecheggiando anche sulle poetiche quartine de Er Pinto, che scrive a quattro mani con Stella una vera e propria dichiarazione d’amore per la città eterna. Brava bravissima la band, che interpreta pure una coppia di silenziosi e pigrissimi attendisti da bar: Ruggero Giustiniani e Samuel Stella. Che dire infine della musica? Vera protagonista, si prende meritevolmente il palco assieme ad Emilio Stella, che ci prende e ci porta via con valigia e chitarra. E allora per ritornare alle origini col buon Petrolini dalla vita “selvaggia allegra e guitta”, alla solenne domanda “Ti à piaciato?” Rispondiamo: Avoja!