
[rating=4] Chiusura d’eccellenza per il Festival Avamposti ospitato, a partire da venerdì 18 settembre, dal Teatro delle Donne di Calenzano: i giovani artisti della compagnia Instabili vaganti presentano, in prima nazionale, Desaparecidos#43, spettacolo dedicato alla scomparsa, un anno fa, di 43 studenti di Ayotzinapa, in Messico.
La storia.
Il 26 settembre 2014 alcuni studenti della Escuela Normal Rural Raúl Isidro Burgos in Ayotzinapa sono stati sequestrati nella città di Iguala, Stato del Guerrero (in Messico) e mai più ritrovati. I familiari li stanno ancora cercando. Le numerose manifestazioni di protesta che sono seguite, in tutto il mondo, hanno compreso performance artistiche e acciònes globales. Queste ultime fanno parte del “repertorio” degli Instabili vaganti che oggi, a un anno dal tragico evento, donano il loro contributo alla causa con Desaparecidos#43.
La compagnia
Il gruppo viene fondato da Anna Dora Dorno e Nicola Pianzola, a Bologna nel 2004. Entrambi laureati in DAMS e con alle spalle una lunga pratica scenica, Dorno e Pianzola hanno dato vita ad una compagnia tesa a “sviluppare un linguaggio originale in cui il performer incarna la capacità evocatrice del fare poetico, affermando la propria centralità fisica ed emotiva”. Alla sperimentazione interpretativa, si aggiunge, poi, una contaminazione con l’arte visuale che è evidente anche nello spettacolo presentato ad Avamposti.
Interpreti e curatori della drammaturgia italo-spagnola (lei anche regista), in Desaparecidos#43 i due fondatori sono accompagnati dalle evoluzioni della ballerina Marta Tabacco; con immagini di Giuliana Davolio e musiche originali di Alberto Novello JesterN.
Lo spettacolo.
Non vuol essere una commemorazione. “Vivos los llevaron y vivos los queremos” (“Vivi li hanno presi e vivi li vogliamo”) recita lo slogan guida delle già citate manifestazioni, che gli artisti ripetono sul palco. È però la costruzione di una memoria: la memoria di quei corpi scomparsi e di cui si fa sentire forte la mancanza.
Come a volerne compensare l’assenza, pur con l’uso di immagini e proiezioni, gli attori danno vita ad uno spettacolo di intensa fisicità. Così Marta Tabacco e Nicola Pianzola si alternano nella definizione di un ponte umano sotto cui scorre un fiume (di sangue?). Il motto, stavolta, è “TodosomosAyotzinapa”, mixato in versione pop da Alberto Novello JesterN. Parimenti, i giovani prestano le membra ad un ossario proiettato sul fondale, che si materializza grazie ai loro movimenti. Finché, sul roseo busto di Pianzola, s’incarna l’immagine (proiezione sul corpo vivo) della Morte, che avanza minacciosa verso il pubblico. Ed è qui che la domanda diviene inquietante incombenza: e se fossi tu il #44? Per alcuni istanti la minaccia diviene reale e si comprende quale sia l’orrore vissuto, inciso sulla pelle di quei messicani. Orrore che ancora oggi ci minaccia tutti.
Perciò diviene indispensabile continuare a cercare, seguendo l’invito della voce cantilenante di Anna Dora Dorno che si dispera, mentre Marta Tabacco e un’altra giovane attrice rimestano, con reiterata ostinazione, tra gli stracci dismessi. S’intende pure la vorticosa follia di una madre (sempre la Dorno) che si strazia, tra pianto e riso, al centro della scena, vestita di nero, in una luce diffusa rosso-arancio, mentre una ballerina (Tabacco) le corre intorno. Musica circense e due ventagli a scandire ritmo e cambiamenti di moto e posizioni. Tocco esotico, tragicomico.
Non manca, poi, l’elenco degli scomparsi: così, la sequenza dell’appello in cui gli attori rotolano sul palco e rispondono alla chiamata della Dorno con un paradossale e istantaneo “Presente!”, rimanda alla pratica scolastica universale che, ancora una volta, sottolinea l’inaccettabile assenza di quei corpi e di quelle voci. Il richiamo risuona nell’aula della mente e vi trascrive i loro nomi per sempre.
Così è pure con i volti: “affissi” al fondale, mediante proiezioni che si accendono secondo i minuti gesti di Pianzola, o comparsi sul dorso dello stesso performer, che ad essi dona la rosea immanenza delle sue carni.
In generale, lo spazio è ben gestito e ogni aspetto curato: gli esperimenti vocali, le danze, le luci e le immagini. La musica, ben orchestrata e armonizzata con l’azione scenica.
Il pubblico non è lasciato passivo, ma chiamato in causa direttamente. È così a inizio spettacolo, quando in due partono, con flebili bisbigli, dal fondo della platea per condurre, accese sul palco, altrettante candele. Queste, più avanti, diverranno ex-voto dedicati alla disperata madre-Dorno-Maria, preghiere in attesa del ritorno dei dispersi.
Ed è così a metà spettacolo, quando gli attori scendono in platea a donare agli astanti colorati semi di speranza, accompagnati dal motto “Nos enterraron vivos, pero no sabian que eramos semillas” (“Ci seppellirono vivi, ma non sapevano che eravamo semi”). Il gioco è con il termine “semillas” che indica, non solo i semi usati in agricoltura, ma anche gli studenti di Ayotzinapa, semi del movimento sociale, piantati ogni anno dalla Escuela Normal Rural. Quei piccoli totem servono da promemoria e ci pongono tra le mani un testimone da trasmettere.
Immagini delle manifestazioni mondiali succedutevi e gesti che segnano la protesta degli stessi artisti (come la Dorno che si tatua le gambe col rossetto), lasciano all’ “ottimismo della volontà” il compito di concludere questo breve, ma intenso spettacolo. Le poche imprecisioni, sul fronte della prossemica e della vocalità, non ne inficiano in alcun modo la pregnanza e la densità semantica.
Prezioso gioiello del teatro d’impegno, Desaparecidos#43 (o #44?) ha il merito di fornire informazioni che poco hanno circolato nel dibattito pubblico, utilizzando le emozioni come un bulino che grava, incide (“gravure” in francese è “incisione”) la memoria. Una onorevole restituzione di un capitolo fondamentale e terribile della Storia mondiale contemporanea. E occasione per attivarsi!
L’incontro.
Allo spettacolo è seguito un incontro con gli artisti, moderato da Simona Maria Frigerio, giornalista di «Perinsala», a cui ha preso parte anche Ruby Villarreal, promotrice della petizione #MexicoNosUrge.
La discussione ha integrato molte delle informazioni già fornite dalla performance. Anzitutto per quel che concerne l’individuazione di chi ha operato il sequestro: l’attribuzione ai narcotrafficanti, inizialmente data dalle istituzioni messicane, troverebbe smentita nelle ricerche operate da una commissione indipendente, voluta dai familiari, che avrebbe invece individuato nell’esercito nazionale e nelle forze dell’ordine igualensi i veri responsabili dell’accaduto. Con echi che rinviano alle tante stragi senza nome di cui l’Italia è stata spesso vittima.
La stessa Villarreal ha poi connesso gli accadimenti di Ayotzinapa con il massacro di Tlatelolco (Città del Messico) del 2 ottobre 1968 (in cui rimase ferita anche Oriana Fallaci) e con l’omicidio del giornalista Ruben Espinosa, avvenuto il 31 luglio 2015 a Città del Messico.
Fuggito, assieme all’attivista Nadia Vera, dallo Stato di Veracruz, in cui si trovava a documentare le violenze subite dalle opposizioni politiche al governo di Javier Duarte de Ochoa, Espinosa è stato raggiunto dai suoi carnefici a Città del Messico e qui ucciso. Quest’ultimo evento ha prodotto una nuova ondata di indignazione: artisti e associazioni, hanno accelerato l’azione di protesta, tentando di coinvolgere anche le istituzioni internazionali. In particolare, oggi si chiede, mediante una petizione, firmata da nomi noti del mondo culturale italiano (Dario Fo, Erri De Luca e molti altri) e presentata in conferenza stampa presso la Camera dei Deputati, che vengano sospesi tutti i rapporti politici e commerciali (embargo contro gli investimenti e chiusura delle Ambasciate) tra l’Unione Europea e il Messico, così come accade spesso quando la comunità internazionale intende sanzionare uno Stato che viola i diritti umani. Contatti e adesioni: mexiconosurge@gmail.com e www.facebook.com/mexiconosurge.
Per quanto riguarda i 43, la necessità di tener vivo il ricordo e attiva la ricerca, induce a rigettare l’ipotesi della loro morte. È un rifiuto sostenuto, ancora una volta, dai risultati delle perizie operate dalla commissione indipendente su presunti resti ritrovati: risultati che circoscrivono a parte (una falange) di un solo corpo la corrispondenza del DNA di alcune ceneri ritrovate in una fossa comune. Non sarebbe possibile, tuttavia, dichiarare con assoluta certezza che l’intera persona identificata sia stata lì arsa; così come non può considerarsi inequivocabile, per mancanza delle condizioni tecniche e ambientali necessarie, l’incenerimento degli altri in un rogo collettivo situato in quel luogo.
Si rinnova perciò lo slogan: “Vivos los llevaron, vivos los queremos!”.
A questi intensi racconti sono stati intrecciati i commenti degli stessi artisti sulla genesi dello spettacolo. Da un lato la rielaborazione di emozioni personali suscitate dagli eventi, in alcuni casi (Marta Tabacco) anche vissuti personalmente; dall’altro il progetto esteso di un impegno civile mediante l’arte, che ha portato i giovani all’elaborazione di Megalopolis#43 : workshop, Acciòn Global e “[…] atto politico che vuole unirsi alle numerose performance di artisti, studenti e cittadini avvenute in tutto il mondo, per reagire alla sparizione forzata dei 43 studenti messicani di Ayotzinapa”. Il prossimo previsto a Roma dal 6 al 9 ottobre.