
[rating=2] Deludicchia e nemmeno poco la versione teatrale del Cyrano scrittore, portata in scena da Alessandro Preziosi al Teatro Vascello di Roma, peccato, le premesse per un chapeau c’erano tutte. Eh sì perché il titolo della pièce faceva quasi ben sperare nell’audacissima messa in scena di una delle opere forse più sconosciute del 600 francese: L’altro mondo o Gli stati e gli imperi della Luna, autore Hercule Savinien de Cyrano, poi de Bergerac (nome della tenuta paterna appartenuta a guasconi di cui si auto-fregiò), altrimenti noto come Cyrano de Bergerac, celeberrimo protagonista dell’omonimo dramma scritto da Edmond Rostand sul finire dell’ottocento.
Di Cyrano guascone, del suo enorme naso e dell’amore inconfessato per la bella cugina Rossana innamorata però del fascinoso Cristiano, onesto e valoroso ma un poco scemo, inutile soffermarsi, d’altra parte la scena di Cyrano che suggerisce all’orecchio del belloccio le parole d’amore per la cugina, infatuata dall’aspetto del giovane, ma presa d’amor dall’animo romantico di Cyrano, è forse seconda come “location da balcone” solo a quella di Romeo e Giulietta. Perché non parlare allora dell’opera di questo Hercule Savinien de Cyrano figura storica, scrittore, filosofo, drammaturgo e perfino soldato nella Parigi frondista e/o mazzarina? Già già, perché non parlarne?
Questa rilettura drammatica di Tommaso Mattei è più che altro un insipido polpettone fra il Cyrano autore, personaggio teatrale e identità storica che non ci racconta proprio nulla, portando in scena piuttosto una lezioncina radical-scic fastidiosamente didattica, infarcita qui e lì di “a parte” francamente inutili, che peraltro non possono raccogliere il consenso di un pubblico come quello romano, che Mattei forse giudica evidentemente poco scolarizzato. Insomma un pezzo che aveva tutte le carte in regola per presentarsi all’audience capitolina e non solo come orgogliosa Mise-en-scène di un’opera barocchissima e forse per noi incomprensibile, che sì sarebbe venuta fuori brutta, o forse no, ma che avrebbe conservato una dignità artistica meritevole di tutto il nostro rispetto critico.
Perché non portarcelo in scena per davvero questo Cyrano che tramite un razzo improvvisato finisce sulla luna, dove gli abitanti “lunari” hanno (guarda caso) tutti “un gran nez” e per controllare l’ora ne leggono l’ombra sui denti? Forse per la stessa ragione per cui ancora nessuno almeno in Italia (se non per il teatro ragazzi) ha portato degnamente in scena un altro libertino esploratore di lune: il barone di Munchausen di Rudolph Eric Raspe, che già nel ‘700 parlava di trasvolate lunari, stavolta a bordo di palle di cannone, un capolavoro che solo la genialità folle di Terry Gilliam è riuscita a raccontare al cinema.
A Mattei forse è mancato un po’ di coraggio, preferendo un monologo sul confronto fra tre Cyrano: storico, teatrale e letterario, ottimamente reso tuttavia da Preziosi, qui in veste anche di regista, bravo sulla scena, quantomeno più che nelle sue ultime prove televisive, anche se certi inserti da laboratorio scolastico di lettura ad alta voce (vedi i dieci minuti su Don Chisciotte) proprio non si sono capiti.
Scarna ma efficace la scenotecnica, non male il disegno luci di Tiberi. Si salvano davvero solo i video di fantascienza del ‘900 con quella luna di bunueliana memoria che tanto ci fa sospirar, ma se d’altra parte come Cyrano insegna “non si combatte solo per vincere, è assai più bello farlo quando la vittoria non è certa”, stavolta Khora Teatro perde, ma per carità con stile. Alla fine parlare con originalità di qualcuno che “fu tutto e non fu niente” non è cosa facile.