Cronaca di una città senza nome, ovvero la storia con “s” minuscola di Wael Kadour

Prima nazionale al Napoli Teatro Festival 2019 per lo spettacolo di Wael Kadour Cronaca di una città senza nome in scena alla Galleria Toledo.

Estate 2011, Damasco. Poco prima della scoppio della rivoluzione una ragazza apparentemente senza nessun motivo si suicida gettandosi da un palazzo. Wael Kadour conosce la ragazza e decide di raccontare la sua storia. Da qui nasce lo spettacolo Cronaca di una città senza nome, per la regia dello stesso Kadour e dell’attore Mohamad Al Rashi, portato in scena per la prima volta in Italia alla Galleria Toledo in occasione del Napoli Teatro Festival 2019.

Centro della narrazione non è il tragico incidente di per sé ma le sue cause scatenanti, il contesto sociale, famigliare e politico che hanno portato Nour a decidere di farla finita.

Cronaca di una città senza nome si costruisce come un lungo prequel in cui i fatti vengono ricostruiti a partire dall’arresto della giovane insieme all’amica Raula per sospetta attività sovversiva ai danni del regime. Le due vengono rilasciate, non prima però di essere state torturate, minacciate, accusate di omosessualità e spaventate per bene.

Kadour sceglie di non far apparire mai Nour sulla scena, di lei è però costretta a parlarne come sotto un continuo ed estenuante interrogatorio Raula.

Due i nodi cruciali: la presunta relazione omosessuale delle due ragazze da un lato, il sospetto coinvolgimento nell’organizzazione dall’altro.

Il regista riesce così a disegnare il legame indissolubile che unisce sfera privata e sfera pubblica in una società che non riesce a scindere i due piani trattando con uguale prepotenza, violenza e sopraffazione entrambe le realtà. Su Raula e Nour le accuse di omosessualità e di sovversione hanno lo stesso peso distruttivo, ma se la prima è determinata e forte, la seconda è descritta come un’anima fragile, da accudire e proteggere.

Kadour compie due scelte scenograficamente fondamentali in Cronaca di una città senza nome, innanzitutto quella di lasciare lo spazio scenico completamente vuoto eccezion fatta per un blocco di mattoni di cemento con cui gli attori interagiscono utilizzandoli come sedute o come pezzi di un muro che tentano poco a poco di alzare per poi disfare a fine arringa, e poi quella di tenere sul palco tutti i protagonisti che diventano così pubblico giudicante del processo che mettono in atto contro Raula e Nour.

L’interpretazione è intensa e vera, gli attori appaiono naturali, reali senza essere patetici o calcare la mano, ricchi di quella sensibilità che solo chi come il regista stesso il terrore e l’orrore della guerra l’ha vissuto può avere.

Cronaca di una città senza nome è messo in scena in lingua originale, in siriano, tale scelta se da un lato dona realismo e credibilità alla narrazione dall’altro attiva inevitabilmente un filtro e distoglie l’attenzione dello spettatore impegnato più a leggere i sovratitoli che a guardare la mimica degli attori. Tuttavia più che procedere ad una traduzione dell’opera, ci si può impegnare a sincronizzare meglio i sovratitoli e renderli più agevoli fruibili allo spettatore.

Nel complesso l’opera, per quanto non troppo originale nell’idea, risulta comunque un buon prodotto teatrale che esce da una certa retorica buonista e patetica della narrazione di guerra, e umanizza i protagonisti della vicenda ridando loro quella voce che spesso la Storia, con la S maiuscola, dimentica universalizzando epoche e situazione che in fondo sono fatte da tante singole entità.