
Il Maggio Musicale Fiorentino ritrova tutto il suo splendore nell’esecuzione di una emozionante Turandot di Giacomo Puccini, anche in forma semiscenica, per una premiere sorprendentemente folgorante, seppur sotto il nubifragio di martedì 27 novembre.
Opera in 3 atti e 5 quadri, su libretto di Giuseppe Adami e Renato Simoni, scritta in quattro anni da Giacomo Puccini “con passione disperata”, Turandot prende corpo dalla fiaba scenica Turandotte di Carlo Gozzi, nella versione di Andrea Maffei, che ispirò anche il compositore empolese Ferruccio Busoni che ne trasse prima una Suite, poi una “fiaba cinese” in due atti, dove predilige una visione fantastica, puro divertissement, contro ogni duetto d’amore. Totalmente agli antipodi la visione di Puccini, tesa all’esaltazione dell’amore vittorioso capace di far sciogliere la gelida principessa cinese che, nel ricordo doloroso di un’antica antenata crudelmente uccisa dagli invasori stranieri, fa decapitare i suoi pretendenti che non riescono a risolvere tre enigmi: «Nell’anno in corso, il terribile anno della Tigre, siamo già al tredicesimo», sottolineano Ping, Pong e Pang, i tre ministri del regno, ormai “ministri del boia”. È Calaf, tartaro di nobili origini, che la conquisterà in un colossale “trionfo d’amore”, coadiuvato dal patetico sacrificio di Liù, serva fedele e innamorata.
Giacomo Puccini muore il 29 novembre del 1924 lasciando l’opera incompiuta: sarà completata da Franco Alfano, affiancato da Toscanini, in linea con i contorni essenziali dati da Puccini in modo frettoloso e febbrile. Opera emblematica del compositore, estremo capolavoro impregnato della sua anima, fa convivere in sé Schönberg e Stavinsky, tra embrioni dodecafonici e dissonanze rivelate a delineare il cupo clima sanguinario iniziale che trascolora nella rilucente esaltazione dell’amore finale, in un percorso di catarsi.
Ed è una piena catarsi del pubblico presente in totale ovazione che ha premiato martedì la fortunata premiere pucciniana ed il suo ottimo cast: interpretazione wagneriana per la Turandot glaciale di Jennifer Wilson dalla voce bella e resistente, fulminante negli acuti; poderoso e saldo nell’eroica voce lucente Calaf di Jorge de León, festeggiato nel terzo atto dall’entusiasmo del pubblico desideroso del bis; ardita e dolce Ekaterina Scherbachenko nei panni dell’appassionata Liù. Da menzionare anche le tre maschere di ‘maniera’ Ping, Pong, Pang, rispettivamente Fabio Previati, Iorio Zennaro, Carlo Bosi, piccanti e grottesche al punto giusto.
Eccellente prova per il maestoso e affiatato coro diretto da Piero Monti e per l’Orchestra del Maggio Musicale Fiorentino che si è letteralmente trascolorata, esaltata dalla forma semiscenica che ne ha messo in rilievo tutta la forza e potenza. Unica pecca, i fermo-immagine proiettati sull’immenso telo, di dubbio gusto.
Direzione catartica sotto la bacchetta del Maestro Zubin Mehta, magistrale, sicura e portentosa.
Esecuzione ammirata da un pubblico in tripudio.