Chi scrive muore di Massimiliano Governi

Dicono che è uno che usa il sangue al posto dell'inchiostro. Il sangue degli altri però...

A Pietro
A Irene

Bompiani Editore

Dalla copertina potrebbe sembrare un po’ splatter ed effettivamente il sangue non manca, quello che però colpisce dei racconti di Chi scrive muore, è un sottinteso che ci accompagna dall’inizio alla fine. Gli indizi sembrano portare in maniera univoca alla cronaca italiana.

C’è uno scrittore che vive sotto scorta, nel suo libro c’è scritto qualcosa di scomodo, qualcosa che attira pistole, finestre chiuse, morti, ritagli di giornale. Tensione e spaesamento, poi stupore, è questo quello che suscitano le immagini cariche di tensione o di quiete apparente.

Storie quasi oniriche, claustrofobiche, dove i personaggi si dimenano come mosche in un barattolo. E poi quell’uomo con la faccia dipinta, mezza bianca e mezza blu, che sembra essere inopportuno come il tempo.

Governi ci porta a riflettere su cosa significhi vivere sotto protezione, provare a farsi una famiglia anche da prigionieri. È una prigionia priva di solitudine e allo stesso tempo piena, accompagnata da volti discreti sempre guardinghi e da fantasmi pronti ad attaccare.

La scrittura si sofferma sui particolari che compongono la quotidianità senza filtri di sorta, ci butta dentro un mondo prettamente al maschile dove “chi scrive muore”, ma chi legge si salva.

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