
Giunti editore
A Dorothy Jean Dandridge, Anna May Wong, Nina Mae McKinney, Hattie McDaniel, Marilyn Monroe e tante altre che hanno tentato di far cinema nonostante la gabbia che il sistema ha costruito loro addosso.
Due pietre. Il punto di partenza su cui costruire l’avvenire. Siamo nella Somalia meridionale, dove Adua ha vissuto con il padre Zoppe e la sorella Malika. Una famiglia che le è andata subito stretta, una città che ha odiato: “Magalo era la fine di una vita, la sfumatura nefasta del destino”.
Il nome stesso della protagonista evoca una battaglia che non è la sua. Per fortuna si può sognare una città come Roma, dove incontrare gli italiani che ti trasformano in Marilyn Monroe, dove fare il cinema e diventare una star. È con questa promessa che Adua scappa verso una nuova vita, che si ritrova anziana sposata con un ragazzino sbarcato a Lampedusa a inventare quell’amore che le è tanto mancato.
Parallelamente Igiaba Scego ci racconta la storia di Zoppe, un uomo duro cresciuto in mezzo a mille difficoltà. Ci prova a fare il padre, anche se con scarsi risultati, perché ferito profondamente dalla morte della donna che amava. Vuole il bene delle sue figlie, ma non ci sono abbracci, solo autorità, disciplina, educazione. Adua è ribelle, non come sua sorella, lei pretende per se stessa una vita migliore.
Approdata in Italia la attende un destino molto diverso dalle ingenue aspettative che nutriva di nascosto. Diventa un’attrice sì, ma si ritrova a girare film erotici, a saltare di letto in letto, attraverso questa esperienza l’autrice, non solo mette in luce la parte oscura dei “viaggi della speranza”, ma la corruzione del mondo del cinema, dove tutt’oggi compromessi e carriera sembrano andare di pari passo.
Zoppe e Adua sono legati da qualcosa che va oltre il loro rapporto pressoché inesistente. Si legano i loro turbanti, simbolo di una schiavitù di cui liberarsi, e le loro coscienze attraverso la figura dell’elefante, emblematico animale in cui Adua trova uno specchio per guardare se stessa.