
Miiko, romanzo fantasy scritto da Massimo Donato e Michela Tranquilli ed edito da Artdigiland, non è solo un libro, è un viaggio avventuroso e introspettivo che ci fa scoprire molto sul mondo orientale. Grazie alla protagonista e agli altri personaggi, apprendiamo usi e costumi tanto affascinanti quanto sconosciuti. La storia principale è quella di una guerriera, anzi dell’evoluzione di una donna fino a diventare una guerriera: Miiko.
Il genere è il fantasy, ambientato nella Cina del XVII secolo: non preoccupatevi se non siete amanti o lettori avvezzi al fantasy perché il romanzo è ricco di descrizioni accurate che vi aiuteranno ad entrare nel mood della storia e dell’ambiente. Gli avvenimenti storici sono reali. Oltre all’eroina, c’è l’eroe e l’intreccio è costruito veramente con sapienza. Di avventura ce n’è tanta, sia nelle vicende narrate sia nelle emozioni che suscitano in noi.
Nulla è banale o improvvisato e ciò che si apprezza particolarmente è il percorso di crescita della protagonista, soprattutto quello interiore.
I capitoli sono diversi, ma di facile lettura. Lo stile è fluido e rallenta solo lì dove c’è necessità di soffermarsi per calarci meglio in quel mondo e spiegarci qualcosa in più.
Il finale è sorprendente ed emozionante.
Abbiamo rivolto qualche domanda all’autore.
Ciao Massimo, vorrei cominciare soffermandomi un attimo sul genere dei tuoi libri, il fantasy; è da sempre un tipo di letteratura che affascina?
Indubbiamente il Fantasy è un genere letterario che coinvolge molto, proprio perché sia l’autore che il lettore hanno grandi opportunità, uno di fare immergere e l’altro di immergersi in un mondo fatto di regole nuove e allo stesso tempo uniche per le loro caratteristiche intrinseche, che spesso possono essere in antitesi con quelle del mondo reale, ma che non perdono il senso del verosimile. Mi spiego meglio, ciò che avviene in questi mondi paralleli è sì fantastico, ma non perde il senso del realistico, in quanto vengono inserite delle leggi e delle regole dall’autore che rendono tutto ciò che viene raccontato accettabile e possibile. Queste “realtà” vengono abbracciate immediatamente dal lettore una volta compresi i parametri spiegati dall’autore. Il nostro è un sottogenere un po’ differente, che si avvicina a quello denominato “Fantasy Orientale”, anch’esso ricco di tradizione e di ambientazioni particolari. È incastonato in un contesto storico reale, un po’ più aderente alla realtà, ma anche in esso ci sono comunque avvenimenti fuori dal normale, che accarezzano e stimolano molto la fantasia del lettore.
Cosa non deve mai mancare in un libro fantasy per renderlo tale?
In questo tipo di narrativa non dovrebbe mai mancare il senso del fantastico seguito da alcuni elementi classici come le ambientazioni, i luoghi ricchi di magia, le descrizioni particolareggiate, i nomi altisonanti e carichi di mistero, i personaggi dalle caratteristiche fisiche inusuali o dai poteri eccezionali. Poi c’è bisogno di un eroe, non consapevole del suo destino, che abbia delle origini semplici e delle caratteristiche fisiche nella media, riscontrabili nel lettore tipo affinché possa entrare direttamente nell’ avventura.
Quando cominci una storia, da dove parti? Viene prima la trama o il personaggio?
Non ho una metodologia precisa o una tecnica rodata per raccontare una storia. Inizio basandomi sull’intuito e sull’istinto.
Chi e cosa ti ha ispirato questa storia?
La storia è nata un po’ per gioco e un po’ per sfida, parlando con la mia amica e coautrice Michela Tranquilli, circa sei anni fa. Le dissi che avrei voluto raccontare una storia su di lei, infatti Miiko, la protagonista, è la trasposizione cartacea di Michela, ovviamente romanzata e in buona parte inventata, ma le caratteristiche principali del personaggio sono quelle che trovo e vedo in lei. Da lì è nato tutto, per poi diventare una storia avventurosa di diverse centinaia di pagine.
È un romanzo scritto a quattro mani giusto?
Sì è un romanzo scritto a quattro mani. Sono convinto che questa storia oltre ad avere delle motivazioni artistiche ed espressive delle nostre idee e dei nostri background personali sia stata anche un elemento catalizzatore che ci è servito per farci crescere. Inizialmente eravamo molto diversi rispetto a ciò che siamo diventati nei cinque anni successivi. Il confronto, lo scontro, il mettere sullo stesso tavolo le nostre idee e le intuizioni, a volte in contrasto e altre volte in comunione, sono stati elementi costruttivi per noi e per il nostro rapporto di amicizia.
Pensi potrebbe diventare una serie televisiva il tuo romanzo
Non voglio apparire presuntuoso, ma credo possa diventare qualsiasi cosa. Non perché sia un racconto di tale portata e intensità da non essere stato mai scritto, anzi è una storia abbastanza convenzionale inizialmente, che poi si dipana in un qualcosa di più grande e imprevedibile. Affermo questo perché credo che sia un racconto che possa essere trasposto attraverso differenti mezzi espressivi: un fumetto, un film, o una miniserie, persino una rappresentazione teatrale, se ben orchestrata e limitata a pochi personaggi scelti con cura, così da sfruttare le caratteristiche del palcoscenico teatrale. Questo è possibile perché è una storia ampia nella sua evoluzione e ricca di significati, che ha una base narrativa semplice e condivisibile dal lettore ma al contempo articolata e complessa. È scritto in modo semplice e comprensibile, ma mai banale e prevedibile.
Qual è il valore del tempo in questo romanzo?
Il tempo è uno degli elementi fondamentali del racconto, non solo perché scandisce gli avvenimenti, ma perché è attraverso di esso che i personaggi si spostano nei loro ricordi, e corrono da un avvenimento ad un altro. Inizialmente, sembrano non avere una linearità ben precisa, ma successivamente prendono una forma, un ordine e una contestualità che rendono la lettura di tutti gli avvenimenti accaduti in momenti differenti chiara e decifrabile.
Cosa rappresentano per te le arti marziali?
Sono nato nel 1970 e sono cresciuto nel periodo in cui le arti marziali sono sbarcate dall’Oriente nel nostro paese. Mi affascinava osservare quegli attori, artisti marziali, combattere in tutti quei film dalla narrativa semplice ma efficace. Quasi tutti si basavano sulla vendetta e sul riscatto dell’uomo debole e umile, ma dalle capacità eccezionali grazie al duro allenamento e al sacrificio, sulla prepotenza del potente e arrogante. In seguito, in età adulta, ho frequentato una importante scuola di arti marziali, l’Otzuka club di Roma, è lì che ho incontrato la mia amica Michela e che ho avuto la possibilità di avvicinarmi a quel mondo in modo più maturo e consapevole, apprendendo molte cose soprattutto sui rapporti umani.
Perché la Cina ti affascina così tanto?
La Cina, come tutto l’Oriente, rappresenta per gli occidentali un luogo inesplorato e lontano da noi, su vari fronti. Quel mondo complesso e ricco di pathos rappresenta il mistero, l’incognito, il non espresso, in qualche modo tutto ciò che è distante dalla nostra quotidianità, che è celato e interiorizzato e non abbiamo ancora espresso o esplorato. Quindi avvicinarsi all’Oriente è come ricercare la parte più profonda che è incastonata nella nostra anima.
Pensi che ci siano guerriere anche oggi?
Se con la domanda che mi poni vuoi sapere se io creda esista ancora il guerriero, visto come rappresentazione più alta dell’eroe che si batte per il più debole, ritengo che sia ancora presente, e lo affermo razionalmente non emotivamente. Ma penso anche che questo è sempre più raro. Il guerriero di oggi è solo e isolato nella sua missione, perché questo mondo è sempre più povero di ideali e di sentimenti che portano all’altruismo più puro e disinteressato. Ritengo che l’unica forma di guerriero che al momento sopravviva in abbondanza sia quello che combatte per se stesso e non per un ideale di libertà e giustizia.