Il sognante “Mago di Oz” si frantuma nell’infelice “Gianni Schicchi”

Al Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze sacrificata chiusura del 2012

Un ultimo appuntamento della Stagione 2012 decisamente sotto tono per il Maggio Musicale Fiorentino, con il Teatro Comunale inagibile per la bonifica dall’amianto e il Nuovo Teatro dell’Opera di Firenze solo parzialmente costruito.

Il “dittico” costituito dal balletto Il Mago di Oz e dall’opera Gianni Schicchi di Giacomo Puccini è risultato un accostamento infelice, che ha limitato fortemente il Trittico pucciniano per eccellenza.

Migliore la resa del balletto Il Mago di Oz di Francesco Ventriglia sulla musica di Francis Poulenc, un poetico racconto fantastico e allo stesso tempo allegorico della realtà contemporanea che inizia con una Dorothy non più travolta da un grande tifone nella fattoria del Kansas, bensì in stato di coma in un letto d’ospedale. Un viaggio dunque freudiano alla ricerca del proprio sé, una favola dal lieto fine che ci guida in un percorso di crescita e maturazione interiore capace di rafforzare anima e corpo. Ecco allora che i famosi personaggi di Baum prendono corpo e vita in qualità di simboliche incarnazioni dei reali abitanti dell’ospedale, mostrando la loro emblematica allegoria di virtù e qualità da conquistare dall’innocente protagonista. La coreografia di Ventriglia risulta contemporanea e poetica con punte dechirichiane e spaesanti nella figura della strega cattiva e dei suoi aiutanti, liriche e neoclassiche nei paesaggi di nuvole e ricordi che circondano la protagonista. Balletto piacevole e sognante in definitiva, con i costumi fantasiosi e sgargianti di Gianluca Falaschi capaci di incantare grandi e piccini, il corpo di ballo di MaggioDanza all’altezza e la buona direzione di Andriy Yurkevych.

Risultato ben diverso per il povero Gianni Schicchi di Giacomo Puccini, opera in un atto su libretto di Giovacchino Forzano basato su un episodio del Canto XXX dell’Inferno di Dante. Parte integrante del Trittico insieme a Il Tabarro e Suor Angelica, la sua esecuzione “a solo” lo rende imbarazzante moncherino, meramente macchiettistico e privo del dramma di Tabarro e della ricercatezza di Suor Angelica: un vero peccato. Lo Schicchi si pone nel tentativo del compositore lucchese di dar corpo ad una sua tardiva fase neoclassica, pur continuando a seguire quell’ambiguo gusto di Puccini per il macabro e mortifero, rispondendo inoltre ad una moda operistica dei primi decenni del Novecento di dar vita a soggetti medievali e rinascimentali d’ambito fiorentino e toscano. La sua opera mostra un tessuto musicale mobilissimo, con pochi ariosi, per privilegiare la profonda unità della partitura che scorre su una rigorosa ossatura timbrica.

Sacrificato sul palco non finito, posto dietro l’orchestra, il cast ha tentato di farsi sentire optando per un terribile urlato che ha tolto ogni poesia all’opera pucciniana, rivestendo i personaggi di una volgare comicità stretta nelle tinte di “tipi” privi di rotondità e personalità. Si salvano Donato di Stefano nel suo Gianni Schicchi elegantemente divertente, e a tratti le arie più liriche dell’opera affidate ai due giovani innamorati. Tenta l’impossibile il direttore Gaetano D’Espinosa, che non può contrastare l’infelice collocazione dell’orchestra e la resa afona dei cantanti sulla scena.

Pubblico decisamente scontento.

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