Un Molière attualizzato e divertente all’Arena del Sole di Bologna

[rating=3] Un enorme letto troneggia al centro della scena, rialzato da un piedistallo di legno. Due porte sullo sfondo, più una nella parete di destra e una in quella di sinistra, tutte rivolte verso il gigantesco talamo del malato, rendono la camera da letto il punto centrale, il fulcro della casa. Così si presenta la “lettocentrica” scenografia dello spettacolo “Malanno immaginario”, il nuovo nato del Teatro Stabile  all’Arena del Sole di Bologna.

Il signor Boselli, il malato interpretato da Vito, ci enuncia tutte le medicine, ognuna recante vari effetti collaterali da curare con altre medicine, che ha dovuto prendere per estirpare dal suo corpo la malattia che l’attanaglia. Questo malessere è infido, cangiante, difficilmente diagnosticabile, e proprio per questo Boselli è costretto a prendere pedissequamente nota di ogni modificazione del suo corpo, del suo espettorato e delle sue feci, perché lui “sente cose che il corpo ancora non manifesta”…

Si entra subito in una commedia molto divertente, che con “Il malato immaginario” di Molière ha in comune una parte della trama e dei personaggi, ma per il resto è stato completamente rivisto ed attualizzato. Per esempio la governante Antonia è una laureata precaria, costretta a lavorare e a sottostare alle regole del “Boss” Boselli perché “fuori il lavoro delle persone è cercare lavoro” e la sua casa è invece un “mondo protetto”. E ancora la moglie del malato è una giovane provocante e disinibita ragazza, che sta con lui solo per soldi, e questo personaggio è sicuramente molto più di attualità rispetto alla sposa descritta da Molière.

Boselli cercherà di far sposare il figlio dottore del suo medico con sua figlia, per poter usufruire di tutte le cure che gli “sono necessarie”, ma anche per unire i patrimoni, mentre la moglie vuole spillargli soldi creando una fondazione per i malati immaginari come lui. Si fingerà morto dietro consiglio della governante per smascherare i veri desideri della moglie e alla fine sfrutterà, come nel testo originale, le sue immense conoscenze acquisite sul campo per diventare dottore lui stesso, ma con una laurea comprata!

Come si può intuire, il testo attualizzato da Francesco Freyrie risulta molto divertente, ed estende la critica per la medicina e soprattutto per i medici, propria del testo originario, a tutta la nostra società, dove la perdita dei valori lascia spazio al “dio denaro” e alla ricerca del successo facile, dove ognuno ha il suo tornaconto, e dove ammalarsi è un lusso, dato che per curarsi servono molti soldi. Si prendono in giro anche i medici, ma in modo diverso: mentre in Molière il protagonista pendeva dalle loro labbra, qui Boselli legge libri e si documenta in altro modo, pur non allontanandosi mai dalla loro luce, perché altrimenti “le ombre della malattia si potrebbero allungare…” In realtà, questo malanno è per lui una specie di alibi, una campana di vetro che lo protegge dal mondo esterno, gli impedisce di pensare e di agire: stando male non potrà, ad esempio, chiedersi se sua moglie gli è fedele o no, e quindi non soffrirà nel momento in cui avrà la risposta. D’altra parte come può lui occuparsi di tutto, essendo così malato?

Vito è perfetto nei panni del protagonista, e d’altra parte questo ruolo sembra essergli cucito addosso, sfruttando tutte le sue corde comiche, compresa la mimica facciale. Non abbandona nemmeno la cadenza bolognese in favore dell’italiano, e fa bene, dato che gli è più congeniale lo fa essere molto naturale. La sua bravura è pari solo a quella di Antonia, interpretata da Claudia Penoni, la Cripztakdel duo con Leonardo Manera di Zelig. A differenza di tutti gli altri ruoli, che sono molto caricaturali, questo è l’unico personaggio vero, autentico, che non sta vivendo in un mondo ovattato dalla ricchezza ma in quello reale, con tutti i problemi che incontra un lavoratore per mantenere il proprio posto di lavoro o per trovarne uno in linea con le proprie aspettative. Asseconderà il “Boss” quando necessario, ma potrà anche imporsi e fare da “padrona di casa” occulta, manipolando il malato dicendogli ciò che vuol sentirsi dire.

Brava anche Maria Vittoria Scarlattei nel doppio ruolo figlia e moglie di Boselli, due ruoli non così distanti che fanno apparire figlia e matrigna quasi sorelle. I due dottori, padre e figlio, convincono, anche se sembrano quasi coetanei: non sarà mica un artifizio per definire il figlio un “bamboccione” oltre che un beota? Sicuramente sono due maniaci, infatti approfitteranno del corpo svenuto della figlia e della moglie di Boselli per tentare di palpeggiarle, trattandole come oggetti e definendole a più riprese “puledre”, ma questa critica non sembra mossa tanto al rango medico quanto all’uomo contemporaneo. Il riso amaro generato da queste riflessioni si trova solo in determinati punti della narrazione; il resto dello spettacolo è un cocktail molto divertente di ricette mediche create come un pittore creerebbe un quadro partendo dai colori-ingredienti, delle descrizioni dei sintomi più strani ed imprevedibili, che sono sicuramente attribuibili ad una particolare, e in genere rarissima, malattia. Se poi il protagonista non manifesta esattamente tutti i citati sintomi, questo non gli impedisce di attribuirsela: “Diarrea? Solo perché sono stitico, se no ce l’avrei!”

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