
[rating=4] Un ideale diluvio universale di urina per sommergere i mali di una società composta di gente che vive ai margini – una realistica e centripeta, seppur illogica, inversione fra centro e periferia dell’umanità – mette la parola fine alla tragicomica, grottesca e a tratti brillante pièce Thanks for Vaselina (TfV).
La famiglia e la sessualità, gli eccessi del capitalismo e il dio denaro, il potere sugli altri e la paura di restare da soli, ma soprattutto la difficoltà di capire cosa avviene dentro di sé sono forse solo alcuni dei temi trattati sul palcoscenico, attraverso cinque personaggi che entrano ed escono da un appartamento dove si coltiva e fuma marjuana: una ludopatica abbandonata quindici anni prima dal marito trans folgorato dai pejote e Gesù Cristo e poi entrato a far parte di una setta pseudo cattolica, il loro figlio emotivamente disadattato che cerca di spedire in Messico, insieme al suo amico anti americanista e fanatico dei diritti degli animali, un carico di droga in un simbolico atto rivoluzionario in favore degli amici del Centro America, usando come mula una ragazza con problemi di autostima e sovrappeso, che masturba una volta a settimana, per eccesso d’amore, il fratellino down in procinto di diventare un famoso personaggio televisivo.
Ognuno, a suo modo, per quasi due ore, recita la sua vita e il suo dolore con un linguaggio ironico e sboccato, irriverente, che gioca continuamente con i limiti del politically correct e sfocia spesso in paradossi che stimolano la riflessione. Dialoghi serrati e ritmati come in un film di Guy Ritchie svelano una storia che si presterebbe forse meglio ad altri strumenti narrativi, un film o una serie televisiva appunto, e che giustifica il mezzo teatrale soprattutto in una scena a luci soffuse in cui, per la prima volta, ogni personaggio si esprime placidamente, ora attraverso un monologo che parla dei suoi desideri, ora come membro di una surreale orchestra di tintinnanti cucchiaini e tazzine di caffè che richiama il suono dei carillon: il tempo in cui si era bambini, quando tutto era più semplice, quando si poteva immaginare ancora un futuro, il futuro di allora che quasi mai corrisponde al futuro che sarà.