L’uomo d’acciaio: un supereroe incerto in un film confusionale

Prodotto da uno dei più geniali registi contemporanei, Cristopher Nolan, L’uomo d’acciaio (“Man of Stell” il titolo originale), è diretto dall’eccezionale Zack Snyder (300, Watchmen, Sucker Punch, di cui presto vedrete le recensioni), ma sfortunatamente, nonostante i considerevoli incassi al botteghino, è un film deludente da diversi punti di vista.

Poco prima che il pianeta Krypton collassi ed esploda a causa del suo nucleo instabile, lo scienziato Jor-El (Russel Crowe) riesce a spedire il figlio neonato Kal-El sulla Terra, suscitando le ire del Generale Zod (Michael Shannon), che vuole usare il bambino per ricreare la stirpe kriptoniana su un altro pianeta, pensando di fare il bene dei suoi concittadini, ma portando solo morte e devastazione. Sul nostro pianeta Kal-El (Henry Cavill), viene adottato dai contadini Jhonatan e Martha Kent, (Kevin Costner e Diane Lane) che lo ribattezzano Clark. Il ragazzo cresce con la consapevolezza di essere diverso e di avere un giorno una missione da portare a termine. Capirà che deve salvare il genere umano poco prima dell’arrivo di Zod, che intende distruggere il nostro pianeta, per ricreare al suo posto Kripton, utilizzando i codici genetici all’interno del corpo di Clark.

L'uomo d'acciaio

Ammetto di non aver mai amato il personaggio di Superman, sia nella storia della cinematografia che nei fumetti. Ma dopo aver visto L’uomo d’acciaio rimpiango amaramente Superman Returns di Bryan Singer, sia per lo spirito ironico e divertente che rendeva il supereroe a tratti meno “super” e più “uomo”, sia per la minor tragicità dei dialoghi, che ha reso invece esasperante una storia che sembra non avere mai una fine. Tralasciando l’ovvio, e cioè che il film sia sicuramente ben fatto a livello tecnico, sia per quanto riguarda la regia, dove si vede la mano di Snyder che ben si unisce al pensiero di Nolan, derivante dalle spettacolari riprese e scenografie della trilogia del Cavaliere Oscuro, la fotografia sicuramente eccellente e gli ottimi effetti speciali, mi chiedo cosa possa lasciare allo spettatore questo prodotto, alla fin fine. Certamente l’intrattenimento c’è, ma personalmente ritengo che di per sé il film sia particolarmente noioso, Kevin Costner è poco probabile nella parte di un genitore adottivo apprensivo, e non spicca dal punto di vista caratteriale, così come il personaggio di Lois Lane perde in dinamicità, nonostante la buona recitazione dell’attrice Amy Adams. E’ evidente qui un contrasto di idee tra Snyder e Nolan  che si nota nel cattivo uso dei poteri e della tecnologia aliena, utilizzati al momento sbagliato o non utilizzati per niente in momenti in cui sarebbero stati essenziali, i buchi di sceneggiatura eclatanti, i combattimenti infiniti, gli scenari apocalittici della città di Metropolis dopo l’attacco di Zod, che ho trovato assolutamente esagerati.

L'uomo d'acciaio

Poco approfondito il tema della paura del diverso, di ciò che non conosciamo e che perciò ci spaventa, il fine ultimo per la quale tutti veniamo al mondo. Nulla da dire su Russell Crowe e la sua perfetta e toccante recitazione, mentre il protagonista Henry Cavill non viene valorizzato nel suo ruolo di supereroe alieno che comprende, suo malgrado, di avere una missione da compiere.

Ultimo difetto del film che proprio non mi è andato giù: per quale motivo in ogni film del genere gli americani, parlando della salvezza della Terra, intendono sempre gli Stati Uniti? Da cosa deriva questa loro eccessiva autoreferenzialità? Forse da un senso di colpa per alcune scelte errate da un punto di vista bellico e ambientale? Ed è giusto sperare sempre in un aiuto “dall’alto” quando siamo noi stessi a doverci prendere le responsabilità dei nostri errori (a questo proposito si veda la recensione di World War Z)? Senza andare oltre, aprendo un percorso filosofico ed etico- politico che potrebbe occupare troppo tempo, ho voluto sollevare questa questione per chiedervi di riflettere sull’ennesima dimostrazione di un patriottismo che poco ha a che fare con il bene della Terra, quasi alla pari con quello ancor più esplicito di Captain America: il primo vendicatore, di Joe Johnston. D’altra parte, ciò che affascina gli U.S. affascina di riflesso anche noi, che forse vediamo questi eroi con un pizzico di ironia e malizia in più, ed è proprio per questo che non ci perdiamo mai una loro avventura, certi che un giorno, li vedremo svolazzare nei nostri cieli.

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